Europa, sì o no? Cosa ne pensano i cittadini dell’Unione?

Cosa pensano i cittadini europei dell’Ue, a maggior ragione in tempi complicati come quelli che abbiamo vissuto? L’Europa è un elemento di forza o altro, che ruolo ha avuto nella gestione della pandemia? A queste e altre domande risponde un sondaggio condotto da Itsos, che si è concentrato sue tre temi chiave: la direzione passata e presente dell’Ue; l’impatto dell’Ue nel mondo e la necessità che i suoi Stati membri agiscano insieme; l’Ue e la gestione del Coronavirus.

Il progetto Europeo ha reso l’Europa oggi più forte o più debole di quanto sarebbe stata senza di esso? 

A questo quesito, circa la metà degli europei intervistati (47%) ritiene che l’Europa sia stata rafforzata dall’Unione Europea e il 42% pensa lo stesso del proprio Paese. I Paesi che sono stati membri dell’Ue sin dalla sua creazione sono meno propensi ad esprimere l’opinione che ha rafforzato l’Europa nel suo complesso, mentre i Paesi che hanno aderito successivamente (Svezia, Ungheria e Polonia) sono più positivi. Per quanto riguarda la direzione dell’Ue, la percentuale di europei che ritiene che l’Unione Europea vada nella direzione sbagliata è diminuita negli ultimi tre anni, con il 29% che afferma di essere sulla strada giusta. Però l’Italia, con Belgio e Francia, afferma il contrario: l’Unione Europea sta andando nella direzione sbagliata. 

Può l’Ue influire sul resto del mondo?

Altra questione fondamentale, ovvero il ruolo dell’Europa nei rapporti internazionali. Il 46% dei cittadini europei (nel 2017 erano il 51%) ritiene che insieme i Paesi dell’Unione Europea abbiano più influenza sul resto del mondo. I Paesi più “positivi” sono la Svezia, i Paesi Bassi e l’Ungheria, che reputano maggiormente che l’Ue rafforzi la loro influenza globale e la loro capacità di risolvere i problemi, mentre Francia e Italia sono i meno ottimisti in merito a questo argomento.  

Coronavirus e gestione europea

Per il 20% dei cittadini intervistati l’Unione Europea ha contribuito a ridurre gli effetti della pandemia di Coronavirus nel proprio Paese, mentre poco più di uno su quattro (27%) ritiene che abbia contribuito a gestire la crisi. Tuttavia, circa due su cinque pensano che l’Ue non abbia influito sull’impatto (44%) o non sia stata sufficientemente coinvolta (39%). Per quanto riguarda il nostro Paese, è proprio in Italia – colpita per subito dal Coronavirus nella prima ondata – che si conta la percentuale più alta di coloro che ritengono che l’Ue abbia peggiorato gli effetti, seguita da vicino da Francia e Belgio.

Milano, Lodi, Monza e Brianza: qui le imprese puntano sulla mobilità sostenibile

Forse anche a causa del desiderio di limitare l’utilizzo dei mezzi pubblici, nelle principali piazze lombarde cresce l’uso di biciclette, monopattini, sharing. E, di conseguenza, cresce anche il numero di imprese legate alla mobilità sostenibile: a settembre 2020 sono 353 a Milano (+6,3% rispetto allo scorso anno), 839 in Lombardia (+3,7%) e 6.281 in Italia (+4,5%). Con simili numeri, la Lombardia è la prima regione a livello nazionale per questo genere di imprese, contandone ben una su 8. Si tratta soprattutto di noleggio di autoveicoli, (586 imprese di cui 274 a Milano) e di fabbricazione e montaggio di biciclette (97 di cui 39 a Milano). Questi dati sono il frutto di un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi sui dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2020 e 2019. E proprio la Camera di commercio ha messo in campo tutta una serie di iniziative a favore dell’ambiente, dell’economia circolare e della mobilità sostenibile. Si tratta dell’organizzazione di assistenze specialistiche e workshop (attualmente tutti in modalità digital), in grado di garantire un continuo percorso formativo alle aziende, informandole e sensibilizzandole sulle diverse tematiche, con focus e percorsi dedicati anche alla transizione verso l’economia circolare.

Le imprese della mobilità sostenibile per regione italiana

La Lombardia con 839 imprese su 6.281 è prima in Italia nei settori legati alla mobilità sostenibile (+3,7%). Seguono poi Lazio con 741 (+3,3%), Sicilia con 626 (+4,5%), Veneto con 550 (+5%) e Campania con 539 (+13,7%). In particolare, la Lombardia eccelle nel noleggio di altri mezzi di trasporto terrestre, il Veneto nella produzione di biciclette, il Lazio nel noleggio di autovetture e la Toscana nel noleggio di biciclette. Per quanto riguarda il numero di imprese della mobilità sostenibile suddivise per provincia italiana, al primo posto della classifica c’è Roma con 562 attività (+5%). È seguita da Milano con 353 (+6,3%). Terza Napoli con 279, in forte crescita (+15,8%). Tra le prime anche Catania (194, +11,5%), Torino con 174 (+3%), Sassari (134, +2,3%) e Salerno (122, +20,8%).

Chi fa cosa

E’ interessante anche vedere, a livello geografico, quali sono le “specialità” in questo ambito nelle diverse città. Si scopre così che Roma è specializzata nel noleggio di autovetture e in quello di altri mezzi di trasporto terrestre, rispettivamente con 498 e 32 imprese. Per quanto riguarda le biciclette, Padova e Milano sono prime nella fabbricazione e nel montaggio e Trento nel noleggio con una quarantina di attività mentre negli accessori si distingue Vicenza con una trentina di aziende specializzate.

Pagamenti digitali, a pieno titolo nella nuova digital way of life degli italiani

Il digitale, in tutte le sue forme, dopo il lockdown è entrato di prepotenza nella vita degli italiani. E i pagamenti digitali non fanno certo eccezione: anzi, oggi accompagnano i nostri connazionali nella loro quotidianità all’insegna di una vita più semplice e pure meno rischiosa. Questo è quanto emerge dalla seconda edizione della ricerca ‘Paying digital, living digital: evoluzione dello stile di vita degli italiani prima e dopo il Covid-19’ di Mastercard, realizzata in collaborazione con AstraRicerche. Dopo quello diffuso a giugno, a ottobre 2020 è stato realizzato un secondo sondaggio per verificare come si sia evoluto in questi ultimi mesi il rapporto degli italiani con la tecnologia e gli strumenti di pagamento digitali più innovativi e quali siano le nuove abitudini e modalità di acquisto. La ricerca evidenza che ad ottobre, in Italia, sono 8 su 10 gli italiani che dichiarano di utilizzare frequentemente le carte di pagamento, seguite dalle quelle contactless, che sono ormai parte delle abitudini consolidate per il 78% degli italiani.

Metodi sempre più conosciuti e utilizzati

Il nostro Paese, afferma il report, è sempre più sensibile rispetto a questo tema: infatti si rileva una forte sedimentazione della conoscenza e dell’utilizzo di queste forme di pagamento digitale. Ancora, è interessante notare che l’accettazione delle carte è diffuso nella gran parte dei punti vendita, senza sensibili differenze tra Nord, Centro e Sud. La percezione dei consumatori intervistati è che gli esercenti preferiscono le carte ai contanti (47% per le carte contro 29% del contante).

Contactless, app e nuove soluzioni
Le più innovative forme di pagamento mobile in questa nuova fase di normalizzazione segnano un trend in crescita: +3,2% per i pagamenti via smartphone, seguita da un +1,9% per i pagamenti via app dedicate, soprattutto nella fascia tra i 25-34enni (59%), e un +1,8% per i pagamenti realizzati attraverso app bancarie che riscuotono il favore di oltre 1 italiano su 5 tra i 15 e i 44 anni. Seguono i wearable, che rappresentano una soluzione di pagamento futura per 1 italiano su 3, riscuotendo un interesse in continua crescita: oltre il 33% degli italiani dichiara infatti di avere una buona consapevolezza di queste nuove soluzioni, particolarmente conosciute dalle fasce più giovani della popolazione (fascia dai 18 ai 44 anni).

Missione sicurezza

Tra i motivi che spingono gli italiani ad apprezzare sempre più i pagamenti digitali c’è anche l’aspetto legato alla sicurezza. Un italiano su tre identifica nelle carte di pagamento la modalità di pagamento più sicura, capace di garantire la tutela del proprio denaro e dei propri dati sensibili. Ma le carte di pagamento sono ritenute anche le più semplici da utilizzare (45%, contro il 35% ottenuto dai contanti). La comodità di pagamento e l’ottimizzazione dei tempi caratterizzano per gli italiani la modalità di pagamento con carte contactless (31% e 33%), elementi che riscuotono interesse anche per i nuovi device NFC siano questi smartphone o personal device (rispettivamente per il 15% e il 17%). Infine, molto importante per gli italiani, soprattutto nel contesto di emergenza sanitaria attuale, è l’igiene garantita dal contactless, dove le carte si attestano al primo posto con il 34%, mentre i device personali ottengono il secondo posto con il punteggio di 21%.

Lavoro flessibile sempre: così lo vorrebbero 3 lavoratori su quattro

Se potessi… punterei sul lavoro flessibile. Ecco cosa hanno risposto in gran parte i lavoratori italiani alla domanda “Cosa faresti se fossi Ceo per un giorno”, inserita nella ricerca Workforce of the future, commissionato da Cisco a Censuswide e condotto su un campione di 10.095 intervistati in 12 paesi tra Europa, Medio Oriente e Russia, compresa l’Italia, coinvolgendo persone di aziende di ogni dimensione, dalle micro imprese alle grandi realtà. E così i nostri connazionali, dopo aver provato la necessaria esperienza del lavoro da remoto vissuta durante il lockdown, porterebbero questa modalità nella prassi aziendale. Tanto che il 74% degli intervistati ha dichiarato che per il 2021 sarebbe importante creare nell’azienda una politica stabile per il lavoro flessibile (74%) insieme dalla disponibilità di strumenti tecnologici per lavorare ovunque proprio come in ufficio (83%).

Come è cambiato il modo di vivere il lavoro

Negli ultimi mesi l’approccio al lavoro è cambiato radicalmente: basti pensare che prima del marzo scorso solo il 10% delle persone intervistate lavorava da casa stabilmente o in parte, e nel 48% delle loro aziende non era proprio permesso farlo. Ora, invece, l’87% dei lavoratori italiani vorrebbe scegliere se e come lavorare da casa o in ufficio con un mix di presenza e distanza, continuando a godere dei benefici sperimentati, nonostante tutto, in questi mesi. Gli intervistati parlano di maggiore autonomia (65%), di lavorare bene ‘in squadra’ anche da remoto grazie alle tecnologie disponibili (66%), dicono di essere stati più produttivi (64%) ma anche di avere sentito benefici legati al rapporto tra vita e lavoro come, ad esempio, essere riusciti a fare più esercizio fisico (61%).

Investimenti in tecnologie

Per raggiungere questo obiettivo, i lavoratori intervistati affermano che le aziende, nel 2021, dovrebbero in prima battuta investire in tecnologie. Per il 42% questi investimenti hi-tech servirebbero a essere più produttivi, per il 31% sarebbero necessari a rendere sicuri gli spazi di lavoro sotto il profilo sanitario, mentre per un 30% tutto ciò accrescerebbe lo sviluppo di competenze digitali. Per un 29% la tecnologia è importante per incrementare la sicurezza informatica. Un ulteriore dato emerso dallo studio è che le risposte date dai lavoratori di tutti i Paesi coinvolti nella survey – di Europa, Medio Oriente e Russia – hanno fornito risposte più o meno allineate. Come a dire, la scoperta della flessibilità del lavoro non è più una “rivoluzione”, ma un processo già ampiamente in atto in gran parte del mondo.

Mise, ecco come le Pmi possono accedere al bando Digital Trasformation

Le Pmi possono accedere ad agevolazioni per il loro passaggio alle nuove tecnologie. Il Ministero dello Sviluppo economico ha infatti pubblicato il decreto che definisce i termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione per il bando “Digital Transformation” destinato alle piccole e medie aziende italiane. Per questa misura sono stati stanziati 100 milioni di euro dal Decreto Crescita, con l’obiettivo di favorire la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi delle micro, piccole e medie imprese, attraverso l’applicazione di tecnologie avanzate previste nell’ambito di Impresa 4.0 e di quelle relative a soluzioni tecnologiche digitali di filiera.

A chi è rivolto

Come si legge in una nota pubblicata dal Mise, possono beneficiare delle agevolazioni le Pmi che, alla data di presentazione della domanda, abbiano le seguenti caratteristiche: iscritte come attive nel Registro delle imprese; operano in via prevalente o primaria nel settore manifatturiero e/o in quello dei servizi diretti alle imprese manifatturiere e/o nel settore turistico e/o nel settore del commercio; hanno conseguito, nell’esercizio cui si riferisce l’ultimo bilancio approvato e depositato, un importo dei ricavi delle vendite e delle prestazioni pari almeno a euro 100.000; dispongono di almeno due bilanci approvati e depositati presso il Registro delle imprese; non sono sottoposte a procedura concorsuale e non si trovano in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente secondo la normativa vigente. Le Pmi in possesso di questi requisiti, si legge, “possono presentare, anche congiuntamente tra loro, purché in numero comunque non superiore a dieci imprese, progetti realizzati mediante il ricorso allo strumento del contratto di rete o ad altre forme contrattuali di collaborazione, compresi il consorzio e l’accordo di partenariato in cui figuri, come soggetto promotore capofila, un DIH-digital innovation hub o un EDI-ecosistema digitale per l’innovazione, di cui al Piano nazionale Impresa 4.0”.

Cosa finanzia

I progetti ammissibili alle agevolazioni devono essere diretti alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi dei soggetti proponenti mediante l’implementazione di tecnologie abilitanti individuate dal Piano nazionale impresa 4.0. (advanced manufacturing solutions, addittive manufacturing, realtà aumentata, simulation, integrazione orizzontale e verticale, industrial internet, cloud, cybersecurity, big data e analytics); tecnologie relative a soluzioni tecnologiche digitali di filiera. A tal fine i progetti devono prevedere la realizzazione di: attività di innovazione di processo o di innovazione dell’organizzazione, ovvero investimenti. I progetti di spesa devono, inoltre, essere realizzati nell’ambito di una unità produttiva dell’impresa proponente ubicata su tutto il territorio nazionale, prevedere un importo di spesa non inferiore a 50.000 e non superiore a 500.000 euro; essere avviati successivamente alla presentazione della domanda di accesso alle agevolazioni e prevedere una durata non superiore a 18 mesi dalla data del provvedimento di concessione delle agevolazioni.

Quali e sono e come accedere alle agevolazioni

Le risorse finanziarie per la concessione delle agevolazioni ammontano a 100.000.000 di euro. Spiega il Mise: “Per entrambe le tipologie di progetto ammissibili a beneficio le agevolazioni sono concesse sulla base di una percentuale nominale dei costi e delle spese ammissibili pari al 50%, articolata come segue: 10% sotto forma di contributo; 40% come finanziamento agevolato. Il finanziamento agevolato deve essere restituito dal soggetto beneficiario senza interessi a decorrere dalla data di erogazione dell’ultima quota a saldo delle agevolazioni, secondo un piano di ammortamento a rate semestrali costanti posticipate scadenti il 31 maggio e il 30 novembre di ogni anno, in un periodo della durata massima di 7 anni. Le domande di accesso alle agevolazioni, concesse mediante procedura valutativa a sportello di cui all’art. 5 d.lgs. n. 123/98, potranno essere presentate esclusivamente tramite procedura informatica, a partire dalle ore 12.00 del 15 dicembre 2020.

Global Happiness 2020, il 63% della popolazione mondiale è “felice”

Anche in un anno davvero complicato come lo è questo 2020, il 63% dei cittadini del mondo si dichiara “felice”. Proprio così: come rivela il sondaggio Global Happiness 2020 di Ipsos, il livello di felicità è rimasto più o meno invariato rispetto al 2019, calando di un solo punto percentuale. Eppure, questo singolare indice che misura la felicità in alcuni paesi è addirittura aumentato: sale in sei (tra i quali Cina, Russia, Malesia e Argentina), mentre cala in dodici nazioni. Il paese che guida la classifica è la Cina, dove il 93% si dichiara felice (in aumento di 11 punti rispetto allo scorso anno), seguita dai Paesi Bassi con l’87% e dall’Arabia Saudita con l’80%. Canada e Australia, che si piazzavano nelle prime posizioni l’anno scorso, sono invece in caduta: il Canada con il 78% scende al quarto posto e l’Australia con il 77% scende al sesto posto.E l’Italia? Bene ma non benissimo: l’Italia è al 16esimo posto, anche se l’indice è aumentato (e questa è sì una sorpresa) dal 57 al 62%. Nonostante i dati siano in tenuta rispetto un anno fa, è invece impressionante notare come è calato il sentiment relativo alla felicità in 10 anni: tra il 2011 e il 2020, la percentuale di coloro che si dichiarano felici è diminuita di 14 punti a livello globale.

Cosa rende felici?

Ma su quali parametri si basa questo sondaggio? Lo studio ha preso in esame, a livello globale, 29 potenziali fonti di felicità; di queste, le prime cinque con le relative percentuali sono: salute/benessere fisico (55%); rapporto con il partner (49%); figli (49%); sentire che la propria vita abbia senso e significato (48%); qualità di vita (45%). Rispetto all’indagine pre-pandemia condotta lo scorso anno, le fonti di felicità che hanno acquisito maggiore importanza a livello internazionale riguardano le relazioni, la salute e la sicurezza. D’altra parte, il tempo libero e il denaro hanno ceduto terreno come fattori di felicità un po’ in tutto il mondo. Sorprendentemente, la situazione finanziaria personale non è uno dei primi driver di felicità.

L’Italia un po’ diversa dagli altri Paesi

Anche se lo studio mette in luce che le maggiori fonti di felicità tendono ad essere universali, l’Italia si discosta leggermente dalla media globale. Per i nostri connazionali, infatti, le principali fonti di felicità risiedono in: la sensazione di controllo della propria vita, salute e benessere fisico, sicurezza e protezione personale, la sensazione che la propria vita abbia un senso e, a pari merito, hobby e condizioni di vita. 

Pmi, pronte al cambiamento e più reattive delle “grandi”

A conferma del detto che “dalle avversità possono nascere delle opportunità”, le Pmi dimostrano di saper reagire con forza alla crisi provocata dall’emergenza sanitaria. La reattività delle piccole e medie imprese italiane è confermata dall’indagine ‘I bisogni delle Pmi post-Covid’ realizzata da Intesa Sanpaolo in collaborazione con Piccola Industria Confindustria, Monitor Deloitte e Deloitte Private. Dallo studio emerge come il segmento delle Pmi mostri un’elevata propensione al cambiamento pur essendo stato significativamente colpito dalla pandemia. Anche se il 90% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver subito rallentamenti o sospensioni delle attività produttive al termine della fase 1 e il 70% delle imprese si trovava in difficoltà finanziarie, le azioni per rispondere a tali difficoltà sono state implementate sin da subito. Lo studio è rappresentativo dello spaccato italiano, in quanto è stato condotto su 6.100 imprese di tutto il Paese.

I passi fatti

La ricerca mette in luce che 6 aziende su 10 devono rimodulare la propria offerta sul mercato e adeguare coerentemente il proprio modello operativo e contestualmente, 7 aziende su 10 hanno espresso la necessità di adeguare il modello operativo alle nuove esigenze dettate dal new-normal anche attraverso lo sviluppo di nuove competenze con formazione o assunzioni mirate; una azienda su 2 intende puntare sull’internazionalizzazione per ampliare la copertura geografica e avviare percorsi di ingresso nei mercati esteri di maggiore interesse; oltre 9 aziende su 10 riconoscono la necessità di rafforzare la dimensione aziendale, prevalentemente ri-bilanciando la propria esposizione verso terzi, con consolidamento dei debiti e implementazione di strategie di patrimonializzazione, anche attraverso operazioni straordinarie, per raggiungere la scala sufficiente per essere resilienti e competitive nel medio-lungo termine; 1 azienda su 4 ha già avviato la riconversione delle proprie linee di produzione per prodotti oggi considerati strategici (dispositivi di protezione individuale).

Un contesto di profonda trasformazione

Le Pmi si trovano quindi ad operare in un contesto di profonda trasformazione e per aver successo ed essere resilienti nel medio-lungo termine necessitano di una pianificazione strutturata e di partner consolidati che siano in grado di integrare il gap di competenze specifiche nella gestione del new-normal. In particolare, il ruolo delle banche risulta cruciale, non solo limitatamente alla sfera finanziaria ma anche su ambiti di supporto più connessi al mondo dei servizi e operativi. Se sotto il profilo finanziario la relazione Banca-Pmi è tradizionalmente consolidata, circa il 50% delle aziende si rivolgerebbe al suo istituto per temi di natura anche più operativa, come intermediazione con provider specialistici per l’ampliamento dei canali commerciali, l’internazionalizzazione, lo sfruttamento degli incentivi governativi, o consulenza su temi legati a modelli operativi emergenti, anche abilitati dalle nuove tecnologie.

Boom di alimenti iperproteici per la ripartenza

Gli alimenti iperproteici non mancano mai nel carrello della spesa degli italiani. Da prodotti di nicchia, acquistati prevalentemente da sportivi e amanti della forma fisica, sono entrati di diritto nelle abitudini dei consumatori, sempre più consapevoli e attenti a un’alimentazione sana ed equilibrata. Ma un’alimentazione ricca di proteine è fondamentale soprattutto in questo periodo di ripartenza, e dopo la lunga pausa imposta dall’emergenza Covid-19, per molti è tempo di back to work, a scuola o in ufficio. La ripresa, in questo settembre così particolare, sembra però più difficile del solito. La pigrizia accumulata durante il lockdown non aiuta a riprendere le proprie abitudini con regolarità ed entusiasmo, e il clima di incertezza per molti può rivelarsi fonte di stress.

Dal 2015 +245% le vendite di alimenti ricchi di proteine

I prodotti ricchi di proteine sono sempre più richiesti, e a confermarlo è il mercato, che negli ultimi cinque anni ha registrato una domanda più che raddoppiata. Dal 2015, infatti, le vendite di alimenti ricchi di proteine, come uova liquide e spray, hanno infatti registrato un incremento del 245%, con oltre 7,6 milioni di unità vendute solamente nel 2020. Parallelamente, nello stesso periodo, i prezzi di questi prodotti hanno registrato una leggera e incoraggiante flessione pari a circa il 6%, a conferma di una distribuzione più ampia e capillare e di un utilizzo crescente da parte di molte persone e famiglie italiane (fonte dati: IRI).

Si raccomandano almeno 0,9 g di proteine per kg di peso corporeo al giorno

Aggiungere alla propria dieta alimenti iperproteici è essenziale per raccogliere le energie necessarie per migliorare il proprio benessere psico-fisico.

Un corretto apporto di proteine, oltre che un importante fattore di buona salute, è fondamentale quando il fisico e la mente sono un po’ giù di tono. Per questo è bene assicurarsi che la dieta sia bilanciata in termini di nutrienti, e che includa una sufficiente quota proteica. Secondo i Larn (Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana) elaborati dalla Società Italia di Nutrizione Umana, sono raccomandati almeno 0,9 g di proteine per kg di peso corporeo al giorno, valore che può essere aumentato in relazione all’attività fisica svolta, al regime alimentare che si sta seguendo e in alcuni momenti fisiologici.

Uova, le migliori alleate per un’alimentazione sana e piena di energia

Alimento proteico per eccellenza, le uova sono le migliori alleate per un’alimentazione sana e piena di energia. Come stabilito dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), ogni 100 g di uova contengono 12,4 g di proteine. Un valore presente soprattutto nell’albume che, grazie anche al suo basso contenuto di grassi, è ideale per chi vuole arricchire di proteine la propria dieta. Anche il tuorlo è un alimento da inserire nella propria alimentazione, soprattutto in questo periodo di ripresa fisica e mentale, poiché è una fonte di sostanze importanti come il triptofano e i fosfolipidi, utili per la funzionalità delle cellule nervose.

Bonus mobilità, è ufficiale: il 3 novembre debutta la piattaforma per i rimborsi

Finalmente c’è una data certa: con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 5 settembre scorso, diventa di fatto operativo il Programma sperimentale buono mobilità – anno 2020” previsto dal Governo. La piattaforma web per il bonus sarà infatti accessibile dal 3 novembre 2020. E’ questo l’ultimo atto del provvedimento che consente di ottenere un contributo fino al 60% della spesa sostenuta e, comunque, in misura non superiore a 500 euro, sull’acquisto di biciclette, anche a pedalata assistita, e veicoli per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica quali monopattini, hoverboard e segway, o per l’utilizzo dei servizi di sharing mobility esclusi quelli mediante autovetture.

Cosa prevede il decreto

Il decreto prevede che chi ha acquistato un mezzo o un servizio di sharing mobility dal 4 maggio 2020, o lo acquisterà fino al 31 dicembre 2020, potrà richiedere il bonus attraverso l’annunciata applicazione web, accessibile, previa autenticazione tramite il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), sia direttamente sia dal sito del Ministero dell’ambiente. Per richiedere il bonus sull’acquisto dei mezzi ci si potrà registrare sull’applicazione del Programma a partire da 60 giorni dalla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale (e quindi dal 3 novembre).

Cosa possono fare i venditori

In una nota diffusa dal Ministero dell’Ambiente si legge: “I soggetti che erogano servizi di mobilità condivisa a uso individuale escluso quelli mediante autovetture, le imprese e gli esercizi  commerciali che vendono biciclette, anche a pedalata assistita, e veicoli per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica si potranno accreditare  sull’applicazione web a partire dal quarantacinquesimo giorno (e cioè dal 19 ottobre)”. Esiste quindi uno scarto di 15 giorni, fra il 45° e il 60° dalla pubblicazione del decreto per dar tempo ai negozianti e ai gestori dei servizi di sharing mobility per accreditarsi e poter poi avvalersi dei rimborsi erogati dal Ministero dell’Ambiente a fronte della presentazione del bonus.

Come avviene il rimborso

Le persone che hanno acquistato il mezzo fino al giorno prima dall’attivazione dell’applicazione riceveranno il rimborso con un bonifico, quelle che ancora non l’hanno fatto riceveranno un bonus che andrà consegnato al negoziante che a sua volta sarà rimborsato dal Ministero dell’Ambiente tramite l’applicazione web. L’erogazione dei bonus avverrà nei limiti delle risorse disponibili che, rispetto allo stanziamento iniziale, sono state implementate e portate a 210 milioni di euro. Rimangono invece validi i requisiti per ottenerlo: è destinato ai soli residenti nei capoluoghi di regione, nelle città metropolitane, nei capoluoghi di provincia e nei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti.

Finanziamenti agevolati per l’e-commerce del Made in Italy nei paesi esteri

Aumentano le possibilità e le facilitazioni per gli imprenditori che vogliono vendere i loro prodotti rigorosamente made in Italy sui mercati esteri. L’ultima mossa, in ordine di tempo, è quella dell’agenzia nazionale per l’internazionalizzazione e l’export Sace-Simest (gruppo CDP – Cassa Depositi e Prestiti), che ha appena esteso l’efficacia del finanziamento agevolato “dedicato allo sviluppo del commercio elettronico, attraverso una piattaforma informatica realizzata in proprio o tramite soggetti terzi (marketplace), per la distribuzione di beni o servizi prodotti in Italia o con marchio italiano”. Possono accedere a questo finanziamento le società di capitali in forma singola o di rete che abbiano depositato presso il Registro imprese almeno due bilanci relativi a due esercizi completi. Come riporta una nota di Sace-Simest, la maggior parte dei settori sono inclusi in questa iniziativa e l’agevolazione è applicabile in tutti i paesi esteri; ogni domanda di finanziamento, però, deve riguardare un solo paese di destinazione.

Le spese ammissibili al finanziamento

Possono essere finanziate le spese relative alla creazione e sviluppo di una propria piattaforma informatica nonché le spese relative alla gestione e al funzionamento della propria piattaforma informatica (market place). Sono inoltre finanziabili le spese relative alle attività promozionali e alla formazione connesse allo sviluppo del programma e quelle sostenute dalla data di arrivo della domanda di finanziamento a Simest fino a 12 mesi dopo la data di stipula del contratto di finanziamento.

Le condizioni per accedere

Naturalmente, per poter ottenere il finanziamento e-commerce, le aziende devono rispondere ad alcuni requisiti. Ad esempio, devono disporre di un dominio di primo livello nazionale registrato nel Paese di destinazione. Ancora, le soluzioni di e-commerce adottate devono riguardare beni e/o servizi prodotti in Italia o distribuiti con marchio italiano. L’importo del finanziamento può coprire fino al 100% delle spese preventivate, fino a un massimo del 12,50% dei ricavi medi risultanti dagli ultimi due bilanci approvati e depositati a partire da un minimo di 25.000 euro fino ai valori massimi 300.000 euro per la realizzazione di una piattaforma propria e 200.000 euro per l’utilizzo di un marketplace fornito da soggetti terzi. Il finanziamento Sace-Simest per l’e-commerce non può superare i 4 anni di cui uno di preammortamento (per soli interessi) e tre di rimborso del capitale. L’impresa inoltre può richiedere fino al 40% del finanziamento a fondo perduto entro il limite di 100 mila euro. Sulla quota restante è dunque applicato un tasso di interesse fisso per tutta la durata del finanziamento pari al 10% del tasso di riferimento di cui alla normativa comunitaria.