Milano, Lodi, Monza Brianza: nel 2020 più nuove imprese di quelle cessate

Resta positivo il saldo delle imprese iscritte nel corso del 2020 alla Camera di Commercio di Milano, Monza e Brianza, Lodi. Un segnale decisamente positivo che regala un pizzico di ottimismo in mesi resi cupi dagli effetti della pandemia, pesantissimi non solo per la salute ma anche per l’economia nazionale. Comunque sia, il sistema produttivo di quest’area lombarda si conferma ancora una volta tenace e resiliente, come rivelano le analisi dell’Ufficio Studi della Camera di Commercio su dati Registro Imprese. Complessivamente a dicembre 2020 si contano 384 mila imprese attive (in un anno -0,4%), di cui 305 mila imprese a Milano, 64 mila a Monza Brianza 14 mila a Lodi.

I numeri dell’imprenditorialità del Milanese

Entrando nel merito dei numeri, sono 383.726 le imprese attive a Milano, Monza Brianza Lodi a dicembre 2020, in calo di -0,4% rispetto alle 385.171 di dicembre 2019. In particolare, a chiusura 2020, si contano 305.395 imprese attive a Milano (-0,4% in un anno); a Monza Brianza le imprese attive sono 63.946 (-0,3%) mentre a Lodi i numeri passano da 14.509 a 14.385 (-0,9%). Tuttavia, accanto ai dati tutto sommato ancora positivi che contraddistinguono l’andamento delle imprese, l’analisi evidenzia i mutamenti dovuti alla grande incertezza dovuta alla pandemia. Incertezza che ha avuto un riverbero significativo sull’andamento demografico dell’imprenditoria del territorio, evidenziato dai risultati di iscrizioni e cessazioni.

Chi nasce, chi abbandona e il confronto con il 2019

Le rilevazioni segnalano che le nuove imprese nate a Milano, Monza Brianza e Lodi nel 2020 sono state complessivamente 25.393. A fronte di queste, nello stesso periodo 20.989 hanno cessato l’attività. Un saldo positivo (4.404 unità), che va tuttavia confrontato con il 2019: la rilevazione segnala che le iscrizioni sono diminuite del 17,2%, così come parallelamente le cessazioni hanno fatto segnare un calo (-12,3%); anche il saldo è risultato in netta flessione (era stato di 6.725 nel 2019). “Di fatto, i dati fotografano una situazione ancora in divenire, dal momento che tendenzialmente le cancellazioni di attività nel Registro delle imprese si concentrano nei primi tre mesi dell’anno” fanno sapere dall’Ufficio Studi delle Camera di Commercio di di Milano, Monza e Brianza, Lodi. “La rilevazione del primo trimestre 2021 potrebbe, quindi, evidenziare i maggiori effetti sul sistema imprenditoriale causati dalla pandemia”. In sintesi, non resta che aspettare l’evoluzione dei prossimi mesi per avere un quadro più preciso e puntuale dell’imprenditorialità di Milano, Monza e Brianza, Lodi.

Spirito imprenditoriale, in tempi di virus aumenta tra giovani e donne

Il Covid-19 metterà il freno ad alcune nostre libertà, ma di certo non blocca lo spirito imprenditoriale di diverse categorie, in particolare le donne e le giovani generazioni. A dirlo è nuovo sondaggio Ipsos, condotto in 28 Paesi tra oltre 20.000 intervistati, che ha rivelato che un terzo degli adulti in tutto il mondo mostra un livello molto elevato di spirito imprenditoriale. L’Entrepreneurial Spirit Index di Ipsos considera 18 caratteristiche imprenditoriali chiave a livello globale, che vanno dall’etica del lavoro alla propensione di assunzione dei rischi. 

Paese che vai, differenze che trovi

Tra gli aspetti emersi dal sondaggio il primo ad apparire è il fatto che lo spirito imprenditoriale varia, e anche di molto, da Paese a Paese. Ad esempio la Colombia si posizione al primo posto, seguita da Sud Africa e Perù; invece, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi, Corea del Sud e Giappone si collocano in fondo alla lista. Su 28 Paesi considerati, l’Italia si piazza al 13° posto con una percentuale del 29% (in linea con la media globale pari al 32% e in aumento del 5% rispetto al 2018). Molti esperti ed economisti affermano che l’imprenditorialità è fondamentale per una ripresa economica e che un’economia rinnovata dipenderà in gran parte dall’attività imprenditoriale dei cittadini. Insomma, una piccola carica di ottimismo per il futuro che ci attende.

La pandemia ha messo in moto l’imprenditorialità

Tra gli altri risultati più significativi del sondaggio, si scopre che la pandemia ha messo in moto la voglia di fare, tanto che 3 imprenditori su 10 hanno avviato un’attività imprenditoriale proprio nell’ultimo anno. In particolare, lo spirito imprenditoriale è più alto tra i Millennials e la Gen. X, nonché tra chi possiede un livello di istruzione e reddito superiore. Ma è aumentato molto anche fra le donne e pure tra le categorie che possiedono un livello d’istruzione e reddito più basso.

Le criticità nelle varie aree del mondo

Tuttavia, esistono delle ombre, come quella sulle disparità di genere ancora esistenti. Per la maggior parte degli intervistati, le donne non ricevono un trattamento equo quando cercano di avviare un’attività imprenditoriale. Soltanto in 5 dei 28 Paesi esaminati – Cina, Arabia Saudita, India, Malesia e Turchia – si ritiene che le donne siano trattate in modo equo. Tra le restanti 23 posizioni, l’Italia rientra tra i Paesi più convinti che la disparità di genere sia ancora molto elevata (25% vs. 37% a livello globale). Ancora, dal sondaggio emerge che, a livello globale, solo il 29% dà giudizi positivi all’assistenza da parte del proprio Governo agli imprenditori. Si ritiene che il governo stia facendo un lavoro migliore in India, Polonia, Malesia e Messico, mentre le valutazioni più basse si riferiscono a Belgio, Perù, Ungheria, Giappone e purtroppo Italia.

Piccole e medie imprese, il 2021 preoccupa 1 azienda su 4

Il 2021 porta con sé, oltre a tante speranze, anche una dose di preoccupazione, specie per le piccole e medie imprese. Come sottolinea una recente indagine condotta dal Centro studi CNA tra gli iscritti alla Confederazione, intitolata “Pensare a un futuro senza Covid. Le aspettative delle imprese per il 2021”, si scopre che un’impresa su quattro teme di chiudere.

Le previsioni degli imprenditori

In merito allo scenario previsto per l’anno appena iniziato il 74,1% delle imprese coinvolte nell’indagine immagina che la caduta del prodotto interno lordo tricolore registrata nel 2020 possa essere recuperata solo parzialmente nel 2021. Il 23,1%, invece, è ottimista e crede che l’Italia sia in grado di riconquistare rapidamente i livelli pre-Covid. Ovviamente le risposte e la visione del futuro sono molto differenti a seconda dei comparti in cui operano le imprese. Infatti mostrano una visione negativa le imprese attive nei settori più colpiti dal lockdown, come costruzioni, turismo e servizi alla persona, mentre hanno prospettive più rosee quelle che operano in aree come i servizi per le imprese, dall’offerta immateriale e con ampie possibilità di intervenire da remoto.

Un terzo delle imprese pensa di crescere

A fronte di un 32,9% complessivo di imprese che nel 2021 ritiene di crescere (l’8,7% presume un incremento sui risultati pre-Covid) o perlomeno di recuperare le perdite accumulate nel 2020 (24,2%), si nota un largo 67,1% scarsamente o per nulla fiducioso nel breve periodo. In particolare, il 40,1% delle imprese intervistate, dopo avere accusato un forte ridimensionamento nel 2020, è convinto che nel 2021 non tornerà ai livelli precedenti. E il restante 27% ha addirittura paura di cessare l’attività nei prossimi mesi. Disaggregando tali dati per settore, la palma dell’ottimismo va al comparto edilizio (il 46,5% è orientato favorevolmente, anche grazie alle speranze riposte nel Superbonus 110% e nelle altre agevolazioni previste per le costruzioni), seguito dal manifatturiero (36,2%). Molto meno fiduciosi, e che temono il rischio chiusure, sono i settori che hanno dovuto sopportare danni economici rilevantissimi, come il turismo (43,5% del totale), il trasporto (33,3%) e i servizi per la persona (31,7%).

Le priorità per ripartire

L’indagine mette in luce quelle che sono le priorità indicate dalle imprese per ripartire. Il 36,4% delle aziende pensa di continuare adottando ancora la diversificazione delle zone a seconda della gravità della situazione sanitaria, mentre il 35,6% ritiene le ragioni dell’economia prioritarie e quindi la necessità di evitare nuovi lockdown. Un 28% chiede infine che l’Italia proceda nel solco degli altri Paesi europei, al fine principale di mantenere invariata la posizione competitiva nazionale.

Mercato auto, 500mila immatricolazione in meno nel 2020

Il 2020 non è stato un anno fortunato per il comparto dell’auto, anzi. La scure della crisi dovuta all’emergenza sanitaria si è fatta sentire sensibilmente anche sull’automotive, tanto che a fine anno le immatricolazioni in Italia difficilmente supereranno la cifra di 1,4 milioni di auto, con una discesa del 26% circa rispetto al 2019, anno in cui le autovetture immatricolate sono state 1,9 milioni. “Il calo è un chiaro effetto della crisi pandemica; tuttavia nel 2021, se il mercato sarà adeguatamente sostenuto da incentivi alla rottamazione, potrebbe esserci un forte recupero, visto che almeno mezzo milione di auto nuove non è stato comprato a causa del lockdown”, affermaLo spiega Alberto Di Tanno, presidente del Gruppo Intergea e co-founder di Italia Bilanci, che ha stilato con FederAuto un dettagliato Rapporto sul settore, la sua evoluzione e i possibili scenari futuri.

Concessionari dimezzati in 13 anni

L’analisi ha però un respiro temporale molto più ampio e considera il periodo dal 2007 al 2019, comprendendo anche le stime per il 2020. Tra i dati più rilevanti, si scopre che nel 2007 i concessionari erano 2.785, mentre a giugno del 2020 meno della metà, 1.294 (35 in meno rispetto al 2019). Tuttavia, a fare da contraltare a questo fenomeno, c’è il fatto che le dimensioni del dealer sono molto aumentate e le strutture sono diventate più articolate. Il fatturato medio ha subito prima una forte decremento, passando da 22 milioni del 2007 al punto minimo di 16,6 del 2012. Dal 2013, la crescita è stata costante e graduale fino ai 40 milioni registrati nel 2019. Mentre per il 2020 si stima il calo del 25% circa, che porta il fatturato medio a 30 milioni. Il mercato delle auto “avrà bisogno di organizzazioni sempre più grandi, preparate, presenti direttamente sul web e capaci di interpretare i bisogni del consumatore”, precisa Di Tanno. “Tra gli elementi di rischio con cui saremo chiamati a confrontarci ci sono la forte variabilità legata alle fluttuazioni di mercato, i margini lordi in contrazione e un mercato sempre più spostato verso soluzioni di mobilità che non favoriscono il conto economico del dealer”.

Usato e online per stare sul mercato

In un mercato in contrazione, cresce invece il canale dell’usato, che sta assumendo dimensioni sempre più significative. Ancora, tra le strategie vincenti che emergono dallo studio, per il prossimo futuro, “c’è l’aumento della componente online. Internet rafforzerà il suo ruolo nella scelta dell’automobile e del concessionario a cui affidarsi. La compravendita continuerà a concludersi dal vivo e in presenza, ma chi vuole comprare una vettura si documenterà sempre di più sul web. Anche la video-chiamata andrà a consolidarsi come strumento di consulenza. Una vetrina online efficace e l’interattività saranno fondamentali”.

Effetto Covid sulle retribuzioni: chi guadagna di più e chi meno

Nonostante le oggettive difficoltà che il 2020 ha portato con sé, vedi alla voce emergenza sanitaria, ci sono anche delle professioni che non hanno subito effetti negativi con il Covid-19, anzi. Esistono infatti delle figure che hanno addirittura visto crescere i loro livelli retributivi (ma altrettante li hanno visti calare). Lo spaccato delle retribuzioni al tempo del coronavirus è il frutto del 28° Rapporto Retribuzioni di ODM Consulting, società di consulenza HR di Gi Group, elaborato su un database di che fa riferimento a un universo di oltre 15 milioni di lavoratori italiani dipendenti di imprese private. La diffusione del Covid 19 e il conseguente lockdown hanno avuto un forte impatto sull’economia, il mercato del lavoro e le imprese italiane. Ad esempio, il rapporto evidenzia che ci sono cinque settori con incrementi, tra i quali il settore Farmaceutico e la GDO, e altri cinque in calo, come la Moda e l’Automotive.

Un blocco generalizzato

Anche se si registra un blocco del trend di crescita nel corso del 2020, dovuto proprio alla pandemia e ai relativi lockdown, ci sono dei settori che, seppur in misura contenuta, presentano delle dinamiche più positive. “In uno scenario di congelamento della crescita delle retribuzioni, il cluster dei comparti è l’unico per cui si sono riscontrati dei trend differenziati, anche se rimangono comunque contenuti – commenta Miriam Quarti, Senior Consultant e Responsabile area Reward & Engagment di ODM Consulting – La pandemia e la conseguente decisione del Governo di dichiarare il lockdown a livello nazionale ha comportato un periodo di sospensione delle attività che ha coinvolto circa i due terzi delle imprese, anche se con tempi e durata diversi, e una conseguente riduzione della produttività industriale. Per questo, anche il mercato retributivo è stato ampiamente influenzato dal contesto economico corrente in cui le attività dei settori che non rientravano tra i cosiddetti servizi essenziali sono state penalizzate in confronto a quelle che hanno potuto continuare a operare sul mercato.”
I cinque settori che crescono di più

Tra quelli cresciuti maggiormente, ci sono cinque settori che rientravano fra le attività essenziali e che hanno subìto in misura minore il lockdown, riscontrando anzi un incremento delle attività e un aumento medio di quasi 600 euro, con un picco di quasi 1.000 euro nell’industria Farmaceutica. Sono: Corrieri/Trasportatori/Logistica; Grande distribuzione food; Farmaceutica; Alimentare; Energia elettrica, gas, acqua.

E quelli che scendono

Purtroppo ci sono anche comparti che hanno registrato un andamento negativo, con una diminuzione media superiore ai 300 euro. Sono ovviamente i settori che maggiormente hanno subito le chiusure: Commercio al dettaglio; Industria dell’abbigliamento/Moda; Pubblici esercizi; Alberghiero; Tessile.

Lombardia, ripartono le assunzioni: migliora il mercato del lavoro nel terzo trimestre

Segnali di miglioramento nel mercato del lavoro lombardo: nel terzo trimestre dell’anno si registra una risalita delle assunzioni, grazie soprattutto alla ripresa delle attività nei mesi estivi e a una minore rigidità delle misure per il contenimento del virus. Tuttavia, nonostante qualche spiraglio positivo, il numero di occupati in Lombardia rimane inferiore ai livelli del 2019, con una variazione su base annua pari al -2,4% analoga a quella registrata nel secondo trimestre. Il tasso di occupazione nella Regione si attesta a quota 66,1, due punti sotto il valore dell’anno precedente. I dati sono il frutto di un’elaborazione di Unioncamere Lombardia, che ha pubblicato gli ultimi report sul mercato del lavoro in Regione. La fotografia della situazione occupazionale è comunque fra luci e ombre, anche se non mancano alcuni segnali nella direzione di un cauto ottimismo.

I numeri del trimestre

Come anticipato, il calo delle cessazioni aiuta il miglioramento del saldo, ma blocco dei licenziamenti e CIG rendono difficile stimare l’effettivo impatto della pandemia sui livelli di occupazione. Più nel dettaglio, i dati di flusso, che colgono in maniera più tempestiva i rapidi mutamenti in corso, mostrano una risalita delle assunzioni, il cui numero si attesta a circa 362 mila: si tratta di un valore ancora inferiore allo stesso periodo del 2019 (-12%), ma in chiara ripresa dopo lo “stop” del trimestre precedente (-43,5%). Considerando anche le cessazioni, che su base annua calano in misura più marcata (-16%), il saldo dei mesi estivi risulta positivo e in miglioramento, sebbene i dati cumulati degli ultimi 12 mesi mostrino una perdita di circa 44 mila posizioni rispetto all’analogo periodo del 2019. Le ore autorizzate di Cassa Integrazione si dimezzano dopo il boom del secondo trimestre, pur rimanendo su livelli storicamente elevatissimi: l’ammontare dei primi nove mesi del 2020 (820 milioni di ore) arriva infatti a superare quello complessivo dei sei anni precedenti.

Come sarà il futuro?
“Gli strumenti a sostegno dell’occupazione hanno avuto il grande merito di proteggere molti lavoratori e le loro famiglie, ma rendono difficile capire la reale situazione del mercato del lavoro il saldo occupazionale migliora infatti non solo per la ripresa delle assunzioni, ma anche per il minor numero di cessazioni: nel momento in cui CIG e blocco dei licenziamenti verranno meno, si porrà il problema del riassorbimento dei lavoratori.” ha dichiarato Gian Domenico Auricchio, Presidente di Unioncamere Lombardia. Non resta che aspettare l’evoluzione delle prossime settimane per comprendere meglio quale sarà lo scenario occupazionale del 2021.

Mercato immobiliare, un presente difficile e le prospettive per la ripresa

Inutile negare che il 2020 sia stato un anno difficile per tutti i settori economici, e l’immobiliare non fa certo eccezione. Pur avendo tuttavia retto, specie durante la prima ondata del Covid-19, i numeri riferiti alle transazioni di quest’anno saranno sicuramente inferiori alle attese. Nel mercato residenziale i primi sei mesi dell’anno avevano evidenziato una flessione consistente dei livelli di attività transattiva, testimoniata da una variazione tendenziale del -15,5% nel primo trimestre, a cui era seguito un calo ancora più intenso- -27,2% – nel secondo trimestre. Le previsioni di calo per il quarto trimestre porteranno a chiudere l’anno nell’ordine delle 500.000 unità transate (-17,1%) secondo lo scenario “Base”, o 491.000 unità transate (-18,7%) secondo lo scenario “Hard”. Considerato che, prima della diffusione del Covid-19, le previsioni per l’anno in corso prefiguravano un numero di compravendite pari a 612mila, risulta evidente l’ampia quota di mercato che la pandemia ha eroso.Sono alcuni dei dati emersi dal 3°Rapporto sul mercato immobiliare di Nomisma, istituto di ricerca bolognese.

Dopo l’estate, è cambiato il sentiment

Il report sottolinea come l’andamento del mercato – in particolare il residenziale – sia stato contraddistinto da un deciso ottimismo durante l’estate, con una forte intenzione d’acquisto da parte delle famiglie e l’appoggio delle banche, mentre dall’autunno il clima è cambiato a causa della seconda ondata del virus. Non soffre, invece, il comparto delle ristrutturazioni e riqualificazioni, grazie soprattutto al Superbonus110%.

Come sarà il 20201 e quali città si riprenderanno prima?

Per il 2021, si prevede che l’andamento delle transazioni dipenderà dal rimbalzo a livello economico e dalla tempestività ed efficacia con cui i vaccini saranno resi disponibili. Al momento, comunque, per il prossimo anno si prevede uno scenario non così diverso da quello del 2020 e una risalita graduale che si manifesterà nel 2022-2023. “Le compravendite non sono l’unico indicatore ad andare verso il basso. Tutti gli indici di performance del residenziale, infatti, hanno subito una flessione, compresi i prezzi” ha dichiarato Luca Dondi, AD e Responsabile scientifico dell’Osservatorio Immobiliare Nomisma. Se la flessione dell’indice è il denominatore comune di tutti i mercati, quello che cambia è la sua intensità. A questo proposito, a livello di mercati, Bologna, Firenze e Milano, che nel 2018-2019 avevano performato molto meglio degli altri, sono gli stessi che, nel 2020 hanno avuto la flessione più importante. Allo stesso tempo, si prevede che Bologna e Milano saranno le prime città a manifestare significativi segnali di ripresa.

Unioncamere Lombardia, nel 2020 investimenti delle imprese più per e-commerce e pagamenti digitali che per Industria 4.0

La pandemia che nel 2020 ha travolto tutto il mondo si è fatta sentire, eccome, sui processi delle aziende italiane che hanno necessariamente dovuto trasformarsi in senso digitale. Unioncamere Lombardia fa il punto su questo fenomeno, che ha avuto sviluppi differenti in fatto di tecnologia 4.0, e-commerce e pagamenti digitali. “L’incertezza portata dalla pandemia ha ostacolato gli investimenti e questo si è fatto sentire anche per quelli legati allo sviluppo tecnologico più avanzato – ha detto il presidente Gian Domenico Auricchio – tuttavia l’interesse e la conoscenza verso il digitale e Impresa 4.0 risultano in crescita, anche tra le piccole imprese”.

Impresa 4.0, l’implementazione rallentata dall’emergenza

Sebbene Impresa 4.0 sia un tema largamente conosciuto (è noto dall’82% delle imprese nell’industria, dal 64% nei servizi, dal 63% nell’artigianato manifatturiero e dal 53% nel commercio al dettaglio, tutti dati in forte crescita rispetto al 2019), l’emergenza sanitaria ne ha rallentato l’evoluzione e l’implementazione. Ad esempio le imprese manifatturiere dell’industria, le più mature sotto questo profilo, dichiarano di avere introdotto soluzioni 4.0 nel 32% dei casi, una percentuale in linea con quella del 2019. Gli altri settori mostrano percentuali di utilizzo molto più basse, con valori che confermano o si posizionano al di sotto dei livelli dell’anno precedente (artigianato manifatturiero: 11%; servizi: 8%; commercio al dettaglio: 6%). In sintesi, la trasformazione in ottica 4.0 ha subito uno stop, probabilmente a causa del timore o della difficoltà da parte delle imprese di avventurarsi in investimenti importanti in un momento difficile per l’economia.

Lo sviluppo di altri canali digitali

Le imprese lombarde non sono però state “con le mani in mano” e hanno investito in altri strumenti digitali, forse meno avanzati ma più immediati: l’’e-commerce in particolare mostra una forte crescita di interesse, soprattutto nel commercio al dettaglio, dove viene citato dal 73% delle imprese che hanno investito o intendono investire in tecnologie digitali, ma anche nei servizi e nel manifatturiero; in molti settori risultano inoltre in espansione i sistemi di pagamento via mobile/internet. Non solo: le aziende si sono concentrate anche sulla formazione dedicata a questi argomenti, con particolare riferimento a temi come il web marketing e l’utilizzo dei social media, oltre all’e-commerce. Infine, la questione smart working, che non da tutte le attività imprenditoriali è stata vissuta nello stesso modo, forse per la mancanza di un cambiamento organizzativo alle spalle. Le piccole aziende, e in particolare quelle dell’artigianato, esprimono sul lavoro a distanza giudizi “sufficienti” (14%) piuttosto che “buoni” o “eccellenti” (7%), mentre quelle più strutturate, in cui la pandemia ha solo accelerato un processo verso modalità di lavoro agile già in atto, danno valutazioni positive.

Caffè, gli italiani hanno le idee chiare

Gli italiani sono fedeli, almeno quando si tratta di caffè. Quello fra i nostri connazionali e l’espresso è infatti un rapporto stretto, che attraversa il tempo e le situazioni contingenti – leggi pandemia – senza troppi scossoni. In particolare, i consumatori del Belpaese sembrano essere affezionati alla marca del cuore: il 40% è più attento alla reputazione delle marche e alla qualità e il 20% diventa più fedele. A dare queste indicazioni è l’Osservatorio realizzato da Bva/Doxa per conto di Nescafé Dolce Gusto al fine di comprendere quali sono le leve di acquisto di questo specifico prodotto.

Meno frequenza nella spesa, più qualità nel carrello

Ci sono interessanti informazioni in merito anche alle modalità di acquisto: in questo ultimo periodo, rispetto al periodo pre Covid, gli italiani riducono la frequenza della spesa e se il 44% acquista più prodotti, il 46% spende di più. Il carrello più pesante e la frequenza di spesa ridotta richiedono un’attenzione al portafoglio e il 46% ha infatti aumentato l’acquisto di prodotti in promozione. Le persone hanno al contempo acuito la propria sensibilità verso alcuni fattori che guidano la spesa e la scelta dei prodotti: la qualità è un fattore imprescindibile per un consumatore come quello odierno, consapevole e informato, che si approccia ai consumi con sempre più attenzione alle etichette e alla lista degli ingredienti (72%). Il 68% ricerca oggi più che mai conferme sulla qualità, intesa anche come rassicurazione sulla provenienza delle materie prime. E ancora il 53% premia le marche che hanno avviato iniziative a sostegno dei consumatori e della società in un periodo così difficile, acquistandone i prodotti. Dal punto di vista delle categorie merceologiche, la fedeltà al brand di caffè si attesta al 76%, secondo solo alla pasta (78%), superando i prodotti per l’igiene e la cura della persona.

Il ruolo della fedeltà

Dall’Osservatorio emerge anche l’identikit dei consumatori di caffè rispetto la fedeltà alla marca. Da questo, emerge che sono in primis gli over 55 (84%) e i residenti nel Mezzogiorno (82%) i più “legati” a uno specifico brand. La conoscenza dei programmi fedeltà promossi da marche di caffè ha ancora molto margine di espansione, con il 79% degli italiani che ritiene appropriato che i brand promuovano tali iniziative. Infatti, quando si trovano a scegliere la marca di caffè da acquistare, il 56% è influenzato positivamente dalla presenza di un programma fedeltà. Non solo: si è scoperto che anche la frequenza di acquisto aumenta se il cliente partecipa a un loyalty program.

Europa, sì o no? Cosa ne pensano i cittadini dell’Unione?

Cosa pensano i cittadini europei dell’Ue, a maggior ragione in tempi complicati come quelli che abbiamo vissuto? L’Europa è un elemento di forza o altro, che ruolo ha avuto nella gestione della pandemia? A queste e altre domande risponde un sondaggio condotto da Itsos, che si è concentrato sue tre temi chiave: la direzione passata e presente dell’Ue; l’impatto dell’Ue nel mondo e la necessità che i suoi Stati membri agiscano insieme; l’Ue e la gestione del Coronavirus.

Il progetto Europeo ha reso l’Europa oggi più forte o più debole di quanto sarebbe stata senza di esso? 

A questo quesito, circa la metà degli europei intervistati (47%) ritiene che l’Europa sia stata rafforzata dall’Unione Europea e il 42% pensa lo stesso del proprio Paese. I Paesi che sono stati membri dell’Ue sin dalla sua creazione sono meno propensi ad esprimere l’opinione che ha rafforzato l’Europa nel suo complesso, mentre i Paesi che hanno aderito successivamente (Svezia, Ungheria e Polonia) sono più positivi. Per quanto riguarda la direzione dell’Ue, la percentuale di europei che ritiene che l’Unione Europea vada nella direzione sbagliata è diminuita negli ultimi tre anni, con il 29% che afferma di essere sulla strada giusta. Però l’Italia, con Belgio e Francia, afferma il contrario: l’Unione Europea sta andando nella direzione sbagliata. 

Può l’Ue influire sul resto del mondo?

Altra questione fondamentale, ovvero il ruolo dell’Europa nei rapporti internazionali. Il 46% dei cittadini europei (nel 2017 erano il 51%) ritiene che insieme i Paesi dell’Unione Europea abbiano più influenza sul resto del mondo. I Paesi più “positivi” sono la Svezia, i Paesi Bassi e l’Ungheria, che reputano maggiormente che l’Ue rafforzi la loro influenza globale e la loro capacità di risolvere i problemi, mentre Francia e Italia sono i meno ottimisti in merito a questo argomento.  

Coronavirus e gestione europea

Per il 20% dei cittadini intervistati l’Unione Europea ha contribuito a ridurre gli effetti della pandemia di Coronavirus nel proprio Paese, mentre poco più di uno su quattro (27%) ritiene che abbia contribuito a gestire la crisi. Tuttavia, circa due su cinque pensano che l’Ue non abbia influito sull’impatto (44%) o non sia stata sufficientemente coinvolta (39%). Per quanto riguarda il nostro Paese, è proprio in Italia – colpita per subito dal Coronavirus nella prima ondata – che si conta la percentuale più alta di coloro che ritengono che l’Ue abbia peggiorato gli effetti, seguita da vicino da Francia e Belgio.