Quanto spendono gli italiani per i servizi di streaming? 

La rivoluzione digitale ha innescato una migrazione massiccia dal piccolo schermo tradizionale verso le piattaforme di streaming, che offrono una miriade di opzioni a portata di clic. Mentre in passato si pagava un canone per la televisione o si noleggiavano videocassette e DVD, oggi sono disponibili numerosi abbonamenti mensili a servizi come Netflix, Amazon Prime, Disney Plus, HBO e tanti altri.
Sommando i costi di ognuno di questi abbonamenti, ci si potrebbe chiedere quanto stiamo effettivamente pagando per questa nuova era di comodità digitale. Ma, soprattutto, ne vale davvero la pena?

Tuttavia, nonostante la televisione tradizionale stia affrontando una concorrenza senza precedenti, gli italiani mostrano una sorprendente prudenza economica. Dalle statistiche emerge una cifra emblematica: 30 euro al mese sembra il budget che la maggior parte è disposta a destinare per il consumo di contenuti digitali.

Contenuti di alta qualità, prezzo accessibile e pubblicità accettabile?

Questo dato sottolinea non solo una consapevolezza economica, ma pone anche una domanda cruciale alle piattaforme di streaming: come offrire un servizio che bilanci contenuti di alta qualità, un prezzo accessibile e una pubblicità accettabile? A quanto pare, gli italiani, pur riconoscendo il valore dei contenuti premium, non sono avversi all’idea di pubblicità, anche se la pubblicità deve essere ben dosata.
Il 59% degli intervistati sarebbe infatti disposto a tollerare spot pubblicitari pur di accedere a una piattaforma gratuita, ma ad alcune condizioni: pubblicità mirate e limitate interruzioni durante la visione. Quando sono inevitabili, che almeno lo spot sia breve.

Una media di 3 abbonamenti per persona

L’epoca in cui un unico abbonamento soddisfaceva tutte le esigenze di intrattenimento sembra essere un lontano ricordo. Ora, con giganti del settore che offrono cataloghi vastissimi e diversificati, la tentazione di diversificare gli abbonamenti è forte.

Questa tendenza, però, non è uniforme tra le diverse fasce d’età. Se da un lato un significativo 42% della popolazione mantiene un approccio più conservativo, limitandosi a 2-3 servizi, dall’altro la fascia più giovane (25-34 anni) mostra un comportamento decisamente diverso.
Quest’ultimo gruppo, infatti, sembra avere una sete insaziabile di contenuti, tanto da sottoscrivere a quattro o più servizi contemporaneamente.

Esiste la formula di streaming vincente?

L’integrazione di servizi bancari, come cashback e assicurazioni, suggerisce che gli italiani cercano soluzioni più olistiche. Le piattaforme dovranno quindi evolversi e offrire pacchetti di servizi integrati.
Una cosa che non sembra nemmeno troppo distante, visto il lavoro massiccio che stanno facendo le piattaforme in mercati più maturi, come per esempio quello Americano o quello Australiano.

L’evoluzione del consumo di media digitali mette poi in evidenza una marcata differenza tra le diverse fasce d’età. Questo divario generazionale nello streaming rispecchia le diverse esperienze e abitudini formatesi nel contesto tecnologico in cui ciascun gruppo è cresciuto.
C’è quindi la necessità di offrire contenuti e servizi che possano attrarre e soddisfare utenti di tutte le età, bilanciando innovazione e tradizione.

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