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I musei italiani si scoprono digital dopo la pandemia

Evoluti, con un sito web e sempre più digitali: i musei italiani cambiano offerta e modalità di esperienza a seguito della pandemia. Una rivoluzione avvenuta in fretta, come evidenzia il recente Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of Management del Politecnico di Milano. Un po’ come successo per moltissime realtà produttive, anche le istituzioni culturali hanno dovuto adattare alla nuova normalità i loro modelli di fruizione. Qualche dato interessante: “Oggi, il 95% dei musei ha un sito web (una crescita importante, superiore al 10%, rispetto al 2020) e l’83% un account ufficiale sui social (una crescita, rispetto al 76% del 2020, guidata dal forte aumento della presenza su Instagram). Grazie al digitale si è aperta l’opportunità di ripensare il rapporto con l’utente come un’esperienza estesa, nel tempo e nello spazio, in quanto non confinata al luogo e al momento dell’esperienza in loco, ma potenzialmente continua e accessibile da qualsiasi luogo e in qualunque momento” precisa Michela Arnaboldi, responsabile scientifico dell’Osservatorio. Ma c’è di più: in questi mesi è aumentato il numero di musei che hanno pubblicato la collezione digitalizzata sul proprio sito web (dal 40% del 2020 al 69% del 2021) e il 13% si è cimentato anche sull’offerta di podcast. Nonostante ciò, le istituzioni che si basano su un vero e proprio piano strategico che comprenda anche l’innovazione digitale rappresentano ancora una minoranza (il 24%, esattamente come un anno fa).

Le tecnologie maggiormente adottate

Tra le nuove offerte online messe a punto dai musei, spiccano laboratori e attività didattiche (il 48%), tour e visite didattiche a distanza (45%) e podcast (13%). Il digitale è quindi lo strumento di eccellenza anche per offrire un’esperienza più interessante di fruizione dei contenuti: il 70% delle istituzioni culturali ha adottato almeno una nuova tecnologia. I più diffusi sono il QR Code e Beacon (il 33% delle istituzioni ne fa uso), seguiti dalle più tradizionali audioguide (32%, stabili rispetto al 2020) e dagli schermi touch screen (32%). Infine, un’istituzione culturale su quattro mette a disposizione dei propri utenti un’applicazione.

Nuovi modelli di business

Quello che è accaduto a livello globale ha ovviamente spinto anche i musei a ragionare su nuovi modelli di business, anche perchè nel 2020 si è assistito a una forte riduzione delle entrate da biglietteria (in media del 56%). Bisogna insomma passare da soluzioni trovate come risposta all’emergenza pandemia ad asset strutturali. Quanto ai contenuti digitali, i modelli di offerta sono stati diversi. La maggior parte delle istituzioni culturali ha scelto di fornirli, almeno in una prima fase, in modo gratuito. Questa scelta, dice l’Osservatorio, “può diventare una linea strategica quando si vuole usare il prodotto digitale per aumentare l’engagement, usare l’online come stimolo per la visita fisica o per ottenere informazioni sul pubblico da poter utilizzare per attività di marketing”.

I trend digitali del futuro secondo Samsung

Tecnologia come facilitatore per la qualità di vita delle persone e tecnologia come mezzo prezioso per migliorare il mondo in cui viviamo, rendendolo più sostenibile, sicuro, accessibile ed equo. Questo è il potenziale che gli italiani attribuiscono all’innovazione, sempre più centrata sull’uomo e capace di supportare e spingere il progresso sociale. Samsung Electronics Italia, che celebra i suoi 30 anni in Italia, rilascia i dati di una ricerca condotta in collaborazione con il Politecnico di Milano. L’obiettivo è delineare le tendenze e gli scenari digitali del futuro connessi alle aspettative degli italiani nei confronti delle aziende tecnologiche e delle loro innovazioni. E sviluppo sostenibile, miglioramento della qualità della vita e remotizzazione sono i macro-trend emersi.

Lo sviluppo sostenibile parte dalla smart home

Secondo la ricerca il 62% degli italiani pensa che il digitale possa contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale, il 49% lo reputa motore di progresso sociale e il 47% strumento per la promozione di una società più equa e inclusiva. La smart home è il luogo da dove partire per ridurre il proprio impatto sull’ambiente: il 54% associa la casa intelligente alla possibilità di controllare e ridurre i consumi. Ma la sostenibilità è anche tra le caratteristiche della città intelligente: la smart city deve rispecchiare l’idea di un luogo sostenibile nel rispetto del pianeta e delle esigenze del singolo (48%). L’87% degli intervistati è inoltre fiducioso nell’impatto positivo della tecnologia sulla qualità dell’istruzione, e il 30% immagina che la realtà aumentata consentirà di seguire lezioni in aula o da remoto completamente immersive e interattive. 

Better living for longer

Le nuove tecnologie sono sempre più associate al miglioramento delle aspettative di vita. La diffusione di dispositivi per la salute risulta essere il fattore più interessante per il 58% degli italiani, mentre la sicurezza è una delle principali caratteristiche cercate dagli intervistati nella casa del futuro (46%). Non è tutto. La sicurezza si conferma fra le tematiche più sentite dagli italiani anche nel contesto cittadino. In una smart city, la presenza di tecnologie per il monitoraggio di situazioni di pericolo e telecamere intelligenti per il rilevamento di situazioni pericolose sono ritenute interessanti da rispettivamente l’81% e il 76% degli intervistati.

Remotizzazione

Se prima dell’emergenza sanitaria la tendenza alla remotizzazione riguardava prevalentemente il mondo dell’impresa ora il concetto si è esteso. Remotizzazione infatti viene associato sempre più spesso anche alla casa intelligente. Secondo il 34% degli italiani smart home significa poter aver il controllo della propria abitazione da qualsiasi luogo, e per il 65% la tecnologia attuale è già in grado, o sarà entro i prossimi 5 anni, di rendere un’abitazione totalmente autonoma e domotica. Ma per migliorare la qualità della vita è necessario che le aziende tecnologiche mettano al centro della propria strategia la sostenibilità, la formazione e una maggiore accessibilità della tecnologia. Questo è ritenuto cruciale, rispettivamente dal 54%, 27% e 19% degli intervistati.

Come sarà il 2030 per i giovani? Tecnologico, inclusivo e sostenibile

Come sarà il 2030 per i giovani? Dalla ricerca Next Gen 2030BNP di Paribas Cardif, condotta sui giovani tra15-30 anni, emerge una visione ottimista. Oltre due intervistati su tre (73%) sono convinti che nel 2030 si vivrà meglio, e con un profondo senso di ‘umanesimo’. Secondo i giovani le nuove tecnologie rivoluzioneranno il mondo del lavoro, con pc intelligenti, assistenti vocali e sistemi di monitoraggio del benessere del lavoratore (32%), e lo smartworking sarà alternato alla presenza (52%), se non addirittura preponderante (34%). Ma per i ragazzi nel futuro vivremo anche in una società in cui le discriminazioni di genere saranno superate (35%), l’aspetto fisico non sarà più fondamentale (32%), e avere una donna alla Presidenza della Repubblica o del Consiglio (26%) sarà la normalità.

L’AI entrerà nella sanità e nella scuola

Nel 2030 i giovani immaginano anche ospedali dotati di sale operatorie intelligenti, con assistenti virtuali e tecnologie integrate (31%). Il cambiamento atteso riguarda però tutto il mondo della sanità, che nella visione delle nuove generazioni riuscirà a riconvertire lo sforzo per lo studio dei vaccini anche per combattere altre malattie (46%). Quanto alla scuola, invece, metà degli intervistati (51%) crede che cambieranno le materie studiate, in un modello che prevede alcuni giorni in DAD (36%), o in strutture in stile campus/college americano (29%). Anche qui torna il leitmotiv dell’AI, che per il 62% rappresenterà il corso universitario del futuro.

Un’evoluzione in positivo della società sembra quasi inevitabile

Quanto ai rischi del futuro, per la Next Gen al primo posto ci sono quelli cyber (43%), seguiti dai danni provocati dal malfunzionamento della guida autonoma (32%) e da nuove pandemie (27%). In generale però un’evoluzione in positivo della società sembra essere quasi inevitabile, con un impatto anche sull’organizzazione delle città, che diventeranno più a misura d’uomo, soprattutto della popolazione con esigenze specifiche, come mamme, anziani, disabili (33%), e sulla mobilità, con un’AI che gestirà il traffico anche tramite semafori intelligenti (24%). Lo stesso ottimismo non si riscontra sempre per l’ambiente. Se da una parte molti immaginano la scoperta di nuove tecniche per riciclare e riutilizzare i prodotti (41%), non mancano i pessimisti che prevedono un peggioramento del riscaldamento globale e dell’inquinamento (31%).

L’e-commerce, i social e la casa del futuro

La digitalizzazione già avviata nell’universo dei pagamenti compirà poi un ulteriore passo verso l’economia cashless (51%) e l’e-commerce diventerà la modalità d’acquisto dominante (40%), ma anche l’esperienza fisica potrebbe migliorare grazie a negozi senza casse (24%) o alla vendita a domicilio su appuntamento (24%). Quanto al mondo dei social, secondo il 32% dei giovani intervistati i social attuali non esisteranno più, e c’è chi crede che ognuno avrà il suo social, impostato come desidera (23%). E in casa? Si immaginano tv più grandi e sottili da stendere e srotolare sul muro (36%), le abitazioni diventeranno tecnologiche (43%), salubri, con sistemi di purificazione dell’aria e di riduzione del rumore (37%) e alimentate esclusivamente da energie rinnovabili (36%).

Si diffonde un fenomeno poco apprezzato: il phubbing

La netiquette, dal vocabolo inglese network (rete) e da quello francese étiquette (buona educazione) indica quell’insieme di regole informali che disciplinano il buon comportamento di un utente su Internet. Ma, come accade anche nella vita reale, non tutti rispettano queste regole. Rispetto allo smartphone, ad esempio, c’è un termine, il Phubbing, dall’inglese ‘Phone’ e ‘Snubbing’, che descrive l’atto di trascurare con intenzione i propri interlocutori reagendo istantaneamente a qualsiasi notifica proveniente dal telefono, o semplicemente, navigando su Internet nel bel mezzo di una conversazione. Sebbene il termine non sia molto noto il fenomeno è fin troppo diffuso. E decisamente poco apprezzato.

Un comportamento irritante 

Quando viene subìto il Phubbing è ritenuto un comportamento irritante dalla quasi totalità degli intervistati (81%) da una survey realizzata da Wiko. Eppure, oltre il 70% ammette di aver ceduto a questa cattiva abitudine almeno una volta. Il 23% degli intervistati afferma addirittura di ‘snobbare’ il prossimo frequentemente, lanciando continue occhiate distratte al telefono mentre è in compagnia di una o più persone. Un dato che non stupisce, considerando che il 68% degli utenti controlla il proprio smartphone più di 50 volte al giorno. D’altronde, il device mobile è ormai l’oggetto che mantiene tutti costantemente in contatto e aggiornati, è usato per lavorare, studiare, controllare le notizie, anticipare i cambiamenti del meteo e per socializzare. A quanto pare, però, non con chi ci sta davanti.

Si controlla il display più spesso perché ci si annoia

Tra le motivazioni più comuni per distrarsi con lo smartphone c’è la noia. Il 78% dei partecipanti alla survey dichiara di controllare il display più spesso se si annoia. Occhio quindi a mantenere le conversazioni sempre brillanti, pena l’essere ignorati. Il restante 22%, invece, cede alla distrazione solo in caso di particolare agitazione. Se l’argomento è spinoso o l’interlocutore mette in soggezione, rifugiarsi nello schermo dello smartphone pare funzionare come un ottimo antistress.

C’è chi ha difficoltà a lasciare il telefono durante una conversazione

Per quanto odiato, la maggioranza, comunque, ritiene il phubbing giustificato se la causa della distrazione digitale è l’attesa di un messaggio importante (61%). E il 39% ha una soglia di tolleranza perfino più alta: il semplice controllo di notifiche ed e-mail vince sulla buona etichetta. Questioni di priorità, insomma. Nonostante quasi tutti siano d’accordo che il phubbing contribuisca a rendere secondaria l’interazione con gli altri, aumentando la possibilità di fraintendimenti, discussioni e malumori, sembra proprio che alcuni non riescano a fare a meno di avere lo smartphone sempre a portata di mano. Il 30% degli intervistati, infatti, avrebbe grosse difficoltà a lasciare il telefono in tasca per il tempo di una intera conversazione.

Facebook apre un nuovo capitolo, e diventa Meta

Facebook cambia nome e diventa Meta. Il social continuerà a chiamarsi Facebook, ma si inserirà in un contesto rinnovato e ridefinito, un ‘metaverso’.
“Siamo all’inizio del nuovo capitolo per la rete ed è un nuovo capitolo anche per la nostra compagnia – annuncia Mark Zuckerberg in un video -. Per riflettere ciò che siamo e il futuro che speriamo di costruire, sono orgoglioso di annunciare che la nostra compagnia ora è Meta. La nostra missione rimane la stessa, si tratta sempre di unire le persone – sottolinea Zuckerberg -. Le nostre app e i loro brand non cambiano: siamo sempre la compagnia che progetta tecnologia attorno alle persone”.

L’utente non si limiterà a osservare, ma sarà “nell’esperienza”

La galassia Facebook, che comprende anche Instagram e WhatsApp, punta quindi a diventare un metaverso, riporta Adnkronos. “Ci si immergerà ancor di più nella nuova piattaforma – spiega Zuckerberg, assicurando che l’utente – sarà nell’esperienza, non si limiterà a osservare. Chiamiamo tutto questo ‘metaverso’ e riguarderà ogni prodotto che realizziamo. La qualità che distingue il metaverso sarà una sensazione di presenza, sarete lì con un’altra persona o in un altro posto. Sentirsi realmente presenti con un’altra persona è il sogno per eccellenza della social technology. Puntiamo a costruire questo”.

“Nel metaverso sarete in grado di fare quasi tutto ciò che potete immaginare”

Insomma, “Nel metaverso sarete in grado di fare quasi tutto ciò che potete immaginare: stare insieme ad amici e familiari, lavorare, imparare, giocare, fare acquisti, produrre”, spiega Zuckerberg. O anche fare “esperienze completamente nuove che non rientrano nel modo in cui concepiamo computer o telefoni oggi”. Ma c’è anche un ‘progetto di futuro’ in cui “sarete in grado di teletrasportarvi istantaneamente come un ologramma per essere in ufficio senza viaggiare, a un concerto con gli amici o nel soggiorno dei vostri genitori per stare insieme – sottolinea -. Questo aprirà più opportunità, non importa dove vivete. Sarete in grado di dedicare più tempo a ciò che conta per voi, ridurre il tempo nel traffico e ridurre le emissioni”.

Meta deriva dalla parola greca che significa ‘oltre’

Ma perché ‘meta’? “Ho fatto studi classici e la parola ‘meta’ deriva dalla parola greca che significa ‘oltre’ – afferma il presidente e ad di Meta -. Per me, significa che c’è sempre altro da costruire e c’è sempre un capitolo successivo della storia. La nostra è una storia che è iniziata in una stanza di un dormitorio, ed è cresciuta oltre l’immaginabile”, diventando “una famiglia di app che le persone usano per connettersi tra loro, avviare attività, creare comunità e movimenti che hanno cambiato il mondo. Abbiamo costruito cose che hanno unito le persone in modi nuovi – continua Zucherberg -. Ora è il momento di prendere tutto ciò che abbiamo imparato e aiutare a costruire il prossimo capitolo. Sto dedicando le nostre energie a questo, più di qualsiasi altra azienda al mondo. Se questo è il futuro che volete vedere, spero che vi unirete a noi. Il futuro sarà al di là di tutto ciò che possiamo immaginare”. 

La digital life semplifica la vita, ma non a chi ha problemi di connessione

Nell’Italia post-pandemia per il 74,4% degli utenti è ormai abituale l’uso combinato di una pluralità di device, e il luogo dal quale si connettono non ha più importanza: il 71,7% degli utenti svolge ovunque le proprie attività digitali, e il dato sale al 93% tra i giovani.  Anche gli orari sono relativi, con il 25,5% che naviga spesso di notte, e tra i giovani il dato sale al 40%. Non è un caso quindi che il 70,4% degli italiani ritenga che la digitalizzazione abbia migliorato la qualità della vita, semplificando tante attività quotidiane. In questo scenario così avanzato si contano però ancora 4,3 milioni di utenti di dispositivi senza connessione. È quanto emerge dalla ricerca La digital life degli italiani, realizzata dal Censis in collaborazione con Lenovo.

Italiani soddisfatti delle proprie dotazioni tecnologiche

Se sono complessivamente 22,7 milioni gli italiani che lamentano qualche disagio in casa, con stanze sovraffollate in cui è complicato svolgere al meglio le proprie attività digitali (14,7 milioni) o connessioni domestiche lente o malfunzionanti (13,2 milioni), al contrario, il 90,3% dichiara di possedere device in linea con le proprie esigenze. Il 71,1% ha una connessione casalinga ben funzionante, e il 67,9% risiede in abitazioni in cui ciascuno ha uno spazio in cui svolgere le proprie attività digitali. Inoltre, il 69,4% si sente sicuro quando effettua pagamenti online, e il 55,6% utilizza almeno qualche volta i servizi cloud.

Anche nel rapporto a due si ridefiniscono nuovi equilibri

Se il 55% degli italiani è convinto che la vita di coppia abbia tratto beneficio dalle opportunità offerte dai dispositivi digitali, anche nel rapporto a due si ridefiniscono nuovi equilibri in questa fase di transizione. Il 42,7% dimostra una grande fiducia nel partner e condivide con la dolce metà le password del telefono cellulare, dell’e-mail e dei profili dei social network. Ma sono 14 milioni gli italiani che si lamentano per il tempo eccessivo che il compagno o la compagna passa al cellulare. E sono 7 milioni quelli che rivelano di essersi sentiti gelosi a causa delle interazioni social del proprio partner.
Inoltre, 6 milioni spiano le attività del partner sui social, e 12 milioni confessano di visitare anche le bacheche degli ex.

Non tutti hanno le giuste competenze per la vita digitale

Sono poi complessivamente 24 milioni non sono pienamente a loro agio nell’ecosistema digitale: 9 milioni riscontrano difficoltà con le piattaforme di messaggistica istantanea, 8 milioni con la posta elettronica, e 8 milioni con i social network. Inoltre, 7 milioni hanno difficoltà con la navigazione sui siti web, 7 milioni con le piattaforme che consentono di vedere in streaming eventi sportivi, film e serie tv e 6 milioni hanno difficoltà con l’e-commerce. Oltre a questi, 5 milioni non sanno fare i pagamenti online, e 4 milioni non hanno dimestichezza con l’uso delle app e delle piattaforme per le videochiamate e i meeting virtuali.

I Social fanno male? Secondo gli esperti ci potrebbero essere circa 50 effetti dannosi

Divertenti, istruttivi, coinvolgenti, emozionanti: i social network sono questo e molto altro, oltre ad essere ormai parte integrante della nostra vita sociale e professionale. Tutto bene, quindi? Forse no. A lanciare l’allarme sono i ricercatori dell’University of Technology di Sydney, che sottolineano come l’uso dei social possa portare fino a 46 effetti dannosi, e non solo connessi sala salute mentale. Tra questi ci sarebbero ansia, depressione, molestie, cyberstalking, delinquenza, gelosia, sovraccarico di informazioni e mancanza di sicurezza. Nel complesso, i “guai” legati all’utilizzo dei social media vanno da problemi di salute fisica e mentale a impatti negativi sul lavoro e sul rendimento scolastico, oltre a rischi di sicurezza e privacy. 

Meglio essere consapevoli

Finora le ricerche sui social network e sui loro effetti si erano concentrate soprattutto sulle loro potenzialità e benefici, spiegano gli studiosi, ma non bisogna però trascurare i lati negativi. “L’enorme popolarità dei social network online evidenzia l’importanza di comprendere le implicazioni sia positive sia negative del loro uso”. Per lo studio, il team ha esaminato più di 50 articoli di ricerca pubblicati tra il 2003 e il 2018. Nel 2003, i social media erano ancora agli albori e Facebook sarebbe nato solo l’anno dopo. Uno dei primi social network, MySpace, è stato fondato nel 2003.  

I problemi più comuni

Tra i 46 effetti dannosi dei social media si sono riscontrati la violazione della privacy, la paura, il conflitto con gli altri e una maggiore attitudine verso l’assunzione di rischi finanziari. “Alcuni degli impatti negativi più comuni includono danni psicologici come gelosia, solitudine, ansia e ridotta autostima, nonché pericoli oggettivi come l’esposizione a software dannosi e rischi di phishing”, ha affermato l’autrice dello studio Layla Boroon. Nel complesso, i ricercatori hanno raggruppato gli effetti negativi in sei temi: “prezzo dell’interazione sociale”, “contenuti fastidiosi”, “preoccupazioni per la privacy”, “minacce alla sicurezza”, “cyberbullismo” e “basso rendimento”. Attualmente, i social network come Facebook e Instagram sono utilizzati da quasi 4 miliardi di persone in tutto il mondo. Secondo il team di ricerca, una maggiore consapevolezza dei loro potenziali pericoli può incoraggiare la moderazione degli utenti e aiutare tutti le figure coinvolte – dai programmatori agli educatori – a sviluppare strategie per ridurre al minimo i loro effetti negativi. Boroon sta attualmente studiando i fattori che influenzano la dipendenza dai social media e le strategie che le persone usano per regolare il proprio comportamento. Il prossimo passo sarà sviluppare e testare applicazioni, funzionalità di progettazione e altre soluzioni in grado di ridurre questi effetti negativi.

Boom mercato app, Tik Tok regina d’incassi

Secondo la più recente rilevazione della società di analisti Sensor Tower, nel terzo trimestre del 2021 gli store digitali di Apple e Google hanno ricavato in totale 33,6 miliardi di dollari in entrate, pari al +15,1% rispetto al 2020. Le installazioni delle app, considerate come prime installazioni del singolo account, sono invece 35,7 miliardi, in calo dell’1,9% sulla rilevazione precedente. Secondo gli analisti, ciò è sinonimo di un utilizzo abbastanza consolidato degli stessi software: si spende più tempo sulle app famose che beneficiano anche degli acquisti in-app o di servizi a pagamento. Per quanto riguarda gli incassi, in generale è Tik Tok a confermarsi regina. L’app è infatti al primo posto dei ricavi su App Store, mentre è quarta sul Google Play Store. Qui, si conferma in testa, per spesa degli utenti, Google One, la piattaforma di cloud per archiviare online foto, video e documenti e averli sempre a disposizione.

La pandemia contribuisce all’ascesa di Zoom e Google Meet 

Discorso simile nell’analisi dei download: anche qui Tik Tok è regina considerando i numeri di iOS e Android, così come nell’App Store di Apple. Terza invece nel ranking del Play Store, dove Facebook e Instagram occupano le prime due posizioni. La considerazione che la pandemia abbia contribuito all’ascesa di alcune nuove app, prima poco presenti, è data dall’ingresso in classifica di Zoom e Google Meet, così come della versione aziendale di WhatsApp: Business, in modo particolare su sistema operativo Android.

Non c’è un aumento concreto nel numero di installazioni su smartphone e tablet

Per Sensor Tower, lo scenario è quello in cui gli utenti utilizzano sempre le stesse app, per cui non vi è aumento concreto nel numero di installazioni su smartphone e tablet, con pochi sviluppatori che si dividono il grosso delle entrate, in ascesa per acquisti in-app e servizi in abbonamento. Tornando all’effetto lockdown, applicazioni di collaborazione e videochiamate, come Zoom e Google Meet, restano saldamente nel ranking delle top 10, e così fa Telegram, che nel corso dell’anno ha rosicchiato utenti a Facebook dopo le controverse modifiche alla gestione della privacy degli utenti fuori dal mercato europeo.

Il segmento dei videogame è più concorrenziale 

Decisamente più concorrenziale il segmento dei videogame, riporta Ansa. In generale il più remunerativo è Pubg Mobile, mentre Honor of Kings si consolida primo su App Store, con il concorrente Genshin Impact, il titolo con maggiori ricavi sul Play Store. Per numero di download, Sensor Tower elegge Pubg Mobile il primo nel totale di iOS e Android. Quest’ultimo si alterna con Count Masters su App Store ma si riprende la leadership per quantità di installazioni sul Play Store.

Gli italiani? In fatto di cibo sono tra i meno “spreconi”

Gli italiani stanno vivendo un momento d’oro per la loro reputazione livello internazionale, fra successi sportivi e in generale in tanti ambiti. ora al palmares si aggiunge anche la medaglia di popolo virtuoso in fatto di spreco alimentare. Proprio così: in base al primo report “Food&Waste around the World” condotto in otto nazioni del mondo gli italiani guidano la ‘hit’ dei popoli più virtuosi del Pianeta con 529 grammi di cibo sprecato a testa nell’arco di una settimana.
L’indagine, firmata da Waste Watcher International Observatory on Food & Sustainability e realizzata in collaborazione con Unitec, Natura Nuova, Electrolux, Conai, Unioncamere e Agrinsieme, ha fornito un confronto incrociato sulle abitudini di acquisto, gestione e fruizione del cibo a livello planetario. Italia, Spagna, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Cina, Russia sono i paesi esaminati, con interviste a 8mila cittadini. 

Quando cibo finisce nella spazzatura?

Tornando ai dati, i cittadini cinesi dichiarano di gettare nel 75% dei casi il cibo una o più volte alla settimana, dietro di loro ci sono i cittadini statunitensi: il 55% spreca almeno settimanalmente. In generale si evidenzia quindi la dicotomia tra Paesi europei e Paesi nordamericani/Cina: in termini di frequenza dello spreco gli intervistati europei segnalano livelli più bassi (una media del 68% degli intervistati dichiara di sprecare meno di una volta alla settimana) mentre i nordamericani segnalano livelli più alti di spreco alimentare (una media del 57% degli intervistati dichiara di sprecare meno di una volta a settimana).

Gli americani i meno attenti

Come diceva, in valori assoluti gli italiani sono i “bravi” in fatto di spreco alimentare, buttando solo 529 grammi di cibo nell’arco di una settimana, confermandosi i più virtuosi del globo. Dall’altra parte della classifica dei piazzano invece  i  cittadini statunitensi, che si autodenunciano per lo spreco di 1453 grammi di cibo settimanali. Subito dopo ci sono i cinesi con 1153 grammi, quindi i canadesi con 1144 g, seguono i tedeschi con 1081 g, e quindi, sotto il kg, arrivano i cittadini inglesi (949 g), spagnoli (836 g) e russi (672).In termini di frequenza dello spreco alimentare gli intervistati europei segnalano livelli più bassi (in media, il 68% dichiara di sprecare meno di una volta alla settimana), invece, i nordamericani segnalano livelli più alti di spreco alimentare (in media, il 57% degli intervistati dichiara di sprecare meno di una volta a settimana). La bella notizia è che comunque noi italiani, anche per una “gara” cos’ importante come lo è la lotta allo spreco, quest’anno siamo sul podio.

Contenuti digitali, in Italia la spesa sfiora i 3 miliardi di euro

Gli italiani sono pazzi dei contenuti digitali, tanto che quest’anno la loro spesa complessiva ha raggiunto quasi i 3 miliardi euro, con un incremento del 21% rispetto al 2020. Insomma, il mercato della distribuzione B2c di contenuti digitali gode di ottima salute, considerando poi che gli investimenti in advertising (+9%) sui contenuti e sulle piattaforme di distribuzione hanno ripreso a crescere dopo lo stop causato dalla pandemia. Sono solo alcuni dei numeri emersi dalla prima edizione dell’Osservatorio Digital Content – School of Management del Politecnico di Milano, presentato in occasione del doppio convegno “Digital Audio: Music, Podcast & Audiobook” e “Digital News & Ebook”.

“Il settore dei contenuti digitali di informazione e intrattenimento – dall’editoria al gaming, dall’audio al video entertainment – sta vivendo a livello globale un periodo da protagonista. Complice l’effetto positivo sulla digitalizzazione portato dalla pandemia, nell’ultimo biennio è esplosa la produzione e l’offerta di contenuti, trainata da una domanda e da un consumo in forte aumento. Le dinamiche osservate presentano però peculiarità in funzione dello specifico contenuto digitale esaminato” ha commentato Samuele Fraternali, Direttore dell’Osservatorio Digital Content del Politecnico di Milano.

Crescita a doppia cifra per la musica (ma crescono anche podcast e audiolibri)

Sul fronte dei contenuti digitali, la musica è il comparto al top: grazie allo streaming, il principale traino, vale a livello globale più dei due terzi dei ricavi. Tale andamento si riscontra anche nel mercato italiano: la componente paid – ossia la spesa del consumatore italiano per sottoscrivere abbonamenti o per acquistare tracce musicali – supererà nel 2021 i 200 milioni di euro, in crescita del +31% rispetto al 2020. La crescita è dettata principalmente dall’incremento del numero di consumatori italiani fruitori di musica digitale: oggi il 76% degli utilizzatori di Internet del nostro Paese ha detto che la fruisce. Anche il podcast è una tipologia di prodotto che cresce, anche se l’analisi sottolinea che la sua attuale difficoltà e la monetizzazione; bene pure gli audiolibri, amati e utilizzati dal 22% degli Internet user (anche se solo l’8% paga per questo servizio). Per questa ragione, il comparto degli audiolibri nel 2021 registrerà una spesa di poco superiore ai 30 milioni di euro, con una decisa crescita (+37%) rispetto al 2020. 

News digitali, la sfida dei pagamenti

“Oggi, sono quasi 4 Internet user italiani su 5 a fruire di contenuti informativi (News) digitali, in lieve crescita rispetto al 73% del 2020, con in parallelo un calo – causa l’alleggerimento della situazione pandemica – del tempo medio giornaliero dedicato (da 29 a 23 minuti). Solo l’8% dichiara però di fruire di questi servizi a pagamento” aggiunge Samuele Fraternali “Il modello prevalente di revenue per questo settore, cioè l’abbonamento, genera ancora ricavi tutto sommato contenuti: nel 2021 la spesa del consumatore italiano per fruire digitalmente di contenuti d’informazione raggiungerà i 73 milioni di euro, in crescita del 21% rispetto al 2020. Dopo questo biennio di aumento della domanda, la sfida per le testate giornalistiche è la fidelizzazione dei lettori”.