Social network, come vengono utilizzati dagli italiani?

I social network più utilizzati in Italia sono WhatsApp (73,9%), Facebook (67,5%), Telegram (34,4%) e Twitter (25,9%). Lo rivela il recente Rapporto Italia 2023 realizzato da Eurispes, giunto quest’anno alla 35a edizione. Per quanto riguarda le piattaforme di condivisione multimediale, YouTube è al primo posto (59,2%), seguito da Instagram (46,8%) e TikTok (26,5%). Circa il 23,2% degli italiani utilizza Linkedin, il social network legato all’ambito lavorativo e professionale. Pinterest (18,4%) e Snapchat (11,7%) hanno decisamente meno utenti. Approssimativamente il 10% del campione intervistato si iscrive a Tinder, Meetic, Badoo, ecc., e una percentuale simile si collega a Onlyfans (9,7%).

Passare il tempo, la prima ragione per cui ci si iscrive a un social

Ci sono tre motivi principali per cui le persone scelgono di iscriversi a uno o più social network: passare il tempo (23,5%), mantenere i contatti con gli amici (21,4%) e rimanere informati su argomenti ed eventi di interesse personale (18,1%). È stata riscontrata una buona consapevolezza dei rischi legati all’uso dei social network. Il 69% degli intervistati ritiene che possano influire negativamente sulle interazioni sociali, il 66,6% solleva il problema della dipendenza digitale, il 68,8% sottolinea che i social network contribuiscono alla diffusione di notizie false e il 66,3% li ritiene pericolosi per la privacy. Un altro motivo di ansia riguarda la navigazione in anonimato, che può incoraggiare comportamenti aggressivi, offensivi e intimidatori (66,9%). Infine, per gli italiani l’uso dei social network è considerato utile per il lavoro (64%), ma anche come stimolo per atteggiamenti razzisti e discriminatori (63,4%). 

Più della metà degli italiani vorrebbe maggiore regolamentazione

Il 56,2% ritiene che i social network debbano essere regolamentati e soggetti a maggiori controlli, mentre il 51% reputa che dovrebbero essere consentiti solo agli adulti. Al contrario, il 45,8% afferma che dovrebbero essere completamente liberi e senza censure, stimolando la creatività (47,8%).

A che età il primo smartphone?

Per quanto riguarda l’età in cui i ragazzi dovrebbero ricevere uno smartphone, il 34,8% degli italiani concorda sul fatto che dovrebbe essere il più tardi possibile. Il 22,6% ritiene che l’età adeguata sia tra i 14 e i 15 anni, mentre il 16,6% pensa che sia dai 16 anni. L’indagine ha rilevato un aumento dell’uso del telefono a letto, al risveglio o prima di dormire (73,3% rispetto al 59,2% nel 2018). Anche l’uso del telefono a tavola è diventato più diffuso, sia quando si è soli (dal 58,2% nel 2018 al 64,4% nel 2023) sia in compagnia (dal 31,6% nel 2018 al 33,9% nel 2023). Inoltre, è aumentato il numero di persone che utilizzano il telefono quando sono fermi ai semafori (dal 30,6% al 32,7%) o mentre guidano (dal 23% al 28%). Molti, infine, continuano a usare il telefono mentre camminano: si è passati dal 54,3% nel 2018 al 55,1% nel 2023.

Le start up green italiane vogliono migliorare il mondo

Qual è l’identikit delle start up italiane attive nella sostenibilità? Emerge dal Report Sustainability Waves ESG Italian Startups di Cariplo Factory: le start up ‘green’ sono realtà piccole, ma con significative prospettive di crescita, e vogliono rendere il mondo un posto migliore. A partire dall’ambiente e dal benessere dei propri dipendenti fino alle relazioni con fornitori, clienti e stakeholder. 
Ma se sostenibilità significa soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura, è necessario trovare un nuovo modello di business. In tale contesto, i criteri ESG (Environmental, Social, Governance) sono diventati lo standard internazionale per misurare, controllare e sostenere l’impegno delle imprese in termini di sostenibilità. Pertanto, le start up sostenibili sono concentrate sull’aderenza ai criteri ESG.

L’82% ha meno di 10 dipendenti, ma oltre la metà è nata prima del 2019

Queste aziende sono abbastanza mature rispetto al ciclo di vita di una start up. Oltre la metà è nata prima del 2019, dunque si trova nella fase early stage e growth, mentre meno del 40% si colloca nei segmenti inziali, quelli pre-seed e seed.
Si tratta inoltre di attività piccole. L’82% ha meno di 10 dipendenti, il 15% ne ha meno di 50 e solo il 3% supera i 50. Nonostante ciò, la maggior parte di esse è comunque riuscita a raccogliere investimenti e a proiettarsi già sul mercato nazionale (54%) e internazionale (40%). E più del 50% si colloca tra la settima e la nona posizione nell’indice di valutazione Investment Readiness Level (IRL), che misura la maturità della start up nella raccolta di capitali.

Il 57% di quelle attive in ambito ESG è già diventata una società benefit

La distribuzione geografica ricalca e conferma il divario tra le aree italiane: il 60% si colloca nelle regioni del Nord, il 20% in quelle del Centro e il 20% in quelle del Sud.
Un aspetto interessante è che il 57% delle start up attive in ambito ESG sono già diventate società benefit o stanno per farlo, mentre il 38% ha già una certificazione BCorp o sta cercando di ottenerla.
Inoltre, il 97% valuta e seleziona i propri fornitori in base al loro impatto ambientale, sociale e di governance, escludendo quelli che non soddisfano i requisiti in materia, il 61% svolge attività di sensibilizzazione dei clienti riguardo la sostenibilità, e il 71% redige un report di impatto.

La scelta sostenibile non è per ragioni di business

Alla base della scelta ‘green’ delle start up c’è il desiderio di avere un impatto positivo e migliorare il mondo e la società (52%). Solo il 24% aderisce ai criteri ESG per ‘ragioni di business’, ovvero perché sono i clienti a chiederlo, solo l’8% lo fa per migliorare la reputazione aziendale, o lo fa perché costretto dalle normative (2%). 
Tra i fattori ESG è quello ambientale a fare la parte del leone nelle attività messe in campo dalle start up, riporta Adnkronos, seguito dal fattore Social. Quanto alla Governance, c’è ancora parecchio da lavorare, come conferma la mission dichiarata: nel 55% dei casi Environment, nel 33% Social, nel 12% Governance.

Gli edifici intelligenti fanno risparmiare circa 14 miliardi di euro 

Poiché il 56% degli edifici in Italia risulta di classe energetica F e G è più che mai urgente avviare la riconversione in chiave efficiente e smart. Riconvertire, dove possibile, gli edifici italiani dotandoli di tecnologie smart consentirebbe infatti di ridurre i consumi energetici del 20-24% all’anno e quelli idrici del 4-5%, tagliando tra il 19 e il 28% delle emissioni di CO 2 del settore edilizio.
Ciò consentirebbe un risparmio tra i 12 e i 14 miliardi di euro a livello di Sistema-Paese, tradotto ogni anno in un risparmio netto complessivo pro-capite circa pari a 230 euro. Sono i risultati del Rapporto Strategico della prima edizione della Community Smart Building, la piattaforma di confronto avviata da The European House – Ambrosetti nel 2022.

Le tecnologie per la trasformazione

La trasformazione degli edifici può essere messa in atto utilizzando strumenti e tecnologie correnti. L’Italia nel 2021 è il terzo Paese in Europa per la quota di brevetti nelle tecnologie di mitigazione del cambiamento climatico legate agli edifici (7,4%), dietro solo a Germania (35,1%) e Francia (15,4%).
In particolare, un Edificio Intelligente si basa su tecnologie quali Building Management Systems (BMS) e applicazioni digitali e di gestione. Grazie alle piattaforme di integrazione e controllo queste tecnologie sono in grado di interagire e integrarsi con le tecnologie e i prodotti all’interno dell’edificio. Ovvero, impianti di produzione e distribuzione dell’energia, connettività, raffrescamento e riscaldamento, sicurezza, gestione della risorsa idrica, illuminazione, comfort e well-being, sensori e attuatori, elevatori e smart meter.

Tre proposte per favorire la diffusione degli Smart Building

La Community Smart Building ha identificato tre ambiti di policy da cui è necessario partire per avviare il percorso di riconversione efficace ed efficiente.
Il primo è definire gli standard per affermare una definizione univoca di Edificio Intelligente, nonché inserire nei regolamenti edilizi dei Comuni italiani fondi strutturati e con capacità di spesa per l’efficientamento idrico negli edifici.
Il secondo è sviluppare un modello operativo per la sostenibilità degli investimenti, adottando come modello operativo generale uno schema di ‘obblighi incentivati’.
E il terzo è favorire filiere industriali ed ecosistemi dell’innovazione legati alle tecnologie smart per gli edifici.

La base per la costruzione della Smart City

Gli Smart Building completamente integrati sono l’elemento base per la costruzione di una Smart City, che abbia come obiettivo principale una società tecnologicamente adeguata all’individuo. Un individuo al centro di un ambiente sostenibile, inclusivo e socialmente avanzato, che integra servizi innovativi data driven, trasforma gli spazi, massimizzando le opportunità di scelta personale e di privacy in ottica Società 5.0.
Massimizzazione del risultato e contenimento degli investimenti impongono una progettazione integrata, che partendo dai materiali, attraverso impianti, devices, tecnologie e connettività basati su standard evoluti, arrivi allo sviluppo di servizi avanzati alla persona e alla comunità.

Design Thinking: come creare il futuro desiderabile per le aziende

La ricerca dell’Osservatorio Design Thinking For Business della School of Management del Politecnico di Milano ha individuato tre diversi approcci per le aziende che vogliono immaginare e creare futuri desiderabili: foresight, entrepreneurship-as-design, discursive design. Come processo di innovazione che integra capacità analitiche con attitudini creative, il Design Thinking si sta affermando come supporto per le aziende a immaginare il futuro desiderabile. Per gestire la trasformazione necessaria a creare un futuro desiderabile le aziende devono essere capaci di equilibrio e adattamento strategico. E sono le tecnologie digitali, in particolar modo l’AI, ad aiutare a facilitare il processo creativo.

Tre modi diversi per pensare al futuro

Il foresight è un approccio sistematico e strutturato per pensare al futuro analizzando tendenze, driver e incertezze, e utilizzare queste informazioni creando una gamma di possibili scenari. L’entrepreneurship-as-design implica invece l’applicazione dei principi del pensiero progettuale al processo di imprenditorialità, identificando e creando opportunità che possano portare allo sviluppo di nuovi prodotti, servizi o attività. Un approccio che sottolinea quindi l’importanza di creatività, innovazione e sperimentazione nel processo imprenditoriale.  Quanto al discursive design, si basa sull’idea che il design sia un processo sociale che coinvolge designer, stakeholder e utenti nel processo di progettazione. Considera il design uno strumento non solo per creare prodotti o servizi, ma anche sistemi e strutture sociali.

Adattarsi con strategia ed equilibrio

Per gestire la trasformazione necessaria a creare un futuro desiderabile nelle organizzazioni serve adattamento strategico ed equilibrio nella progettazione del futuro. L’adattamento strategico garantisce che le azioni intraprese per modellare il futuro siano coerenti con la strategia e gli obiettivi generali dell’organizzazione. Equilibrio significa invece garantire che tali azioni siano equilibrate in termini di rischio, complessità e impatto. Nel valutare la progettazione del futuro, l’Osservatorio considera quattro dimensioni: plausibilità (il grado con cui le azioni intraprese per modellare il futuro sono realistiche e fattibili), novità (innovative), significatività (allineate a valori e obiettivi dell’organizzazione), desiderabilità (attraenti e convincenti per le parti interessate). Bisogna poi garantire che abbiano un impatto sugli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG).

Un futuro co-progettato da diversi stakeholder  

“I futuri a 5, 10 anni non possono essere predetti, ma devono essere immaginati e co-progettati da diversi stakeholder – spiega Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. Inoltre, per renderli possibili devono essere perseguiti attraverso una serie di azioni nell’oggi che influenzano il domani. Proprio per questo l’osservatorio quest’anno ha cercato di comprendere come tre approcci differenti influenzassero la percezione rispetto al desiderio, valore e probabilità di accadimento dei futuri immaginati e modellati, mostrando come un approccio di design possa facilitare tale processo”.

L’e-commerce come strumento contro l’inflazione: cosa pensano gli italiani?

La principale preoccupazione degli italiani secondo una recente survey condotta da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Amazon è l’inflazione, ritenuta il principale problema del paese dal 70% degli intervistati. La ricerca è stata presentata presso la Sala Zuccari del Senato a Roma e ha rivelato che il potere d’acquisto degli italiani si è ridotto nell’ultimo anno, con il 90% degli intervistati che ha dichiarato di prestare maggiore attenzione ai prezzi. Inoltre, il 60% degli intervistati ritiene che l’e-commerce abbia contribuito a contenere l’inflazione, consentendo loro di mantenere o aumentare il proprio potere d’acquisto.

Per 7 italiani su 10 il caro prezzi è il primo problema del Paese

L’economia italiana ha subito una forte pressione inflattiva a causa della ripresa post-pandemia e della guerra tra Russia e Ucraina nel 2022, con un tasso medio di inflazione dell’8,9% nell’ultimo anno. Sette italiani su dieci considerano l’incremento dei prezzi e il costo della vita come il principale problema del Paese, con la disoccupazione al secondo posto.

Il 60% degli italiani ritiene l’e-commerce un canale economico

Nove italiani su 10 affermano che il proprio potere d’acquisto si sia ridotto nell’ultimo anno, con le fasce d’età più colpite fra i 46 e i 60 anni e gli over-60. Per questa ragione, i consumatori italiani dichiarano che modificheranno i propri comportamenti d’acquisto nel 2023, in termini di maggiore attenzione ai prezzi (64,8%) e ricerca di promozioni e sconti (56,2%). Secondo lo studio, l’e-commerce gioca un ruolo importante nell’attuale contesto socio-economico, con il 60% degli intervistati che ritiene che abbia contribuito a contenere l’inflazione, consentendo loro di mantenere o aumentare il proprio potere d’acquisto. In particolare, i più giovani e quelli con livelli di istruzione più elevati percepiscono maggiormente l’economicità del canale online. “La percezione del beneficio del commercio online sul potere d’acquisto è poi maggiore dove l’inflazione ha colpito di più e, principalmente, nel Mezzogiorno” sottolinea lo studio, secondo cui i benefici del commercio elettronico non si riferiscono solamente ai prezzi, ma anche alla maggior reperibilità e alla più ampia offerta online di molti prodotti, in particolar modo nei Comuni più piccoli.

Le industrie Tech al terzo posto tra le preferite in Italia

Il periodo che va dall’inizio del 2020 ai primi mesi del 2022 ha visto letteralmente esplodere i fatturati delle aziende tecnologiche italiane di ogni dimensione. Omnicom PR Group, società di consulenza strategica in comunicazione, ha pubblicato il proprio studio dal titolo Post-Invasion 2022/2023, nel quale ha analizzato la reputazione di otto settori chiave dell’economia italiana.
Agli otto settori lo studio ha associato 64 brand, valutati attraverso le “lenti” di oltre 2.000 consumatori. Sia per il Tech sia per gli altri comparti lo studio approfondisce la differenza tra aspettative ed esperienze degli italiani.

Sul podio Automotive, GDO e Tech 

Ai notevoli successi economici del settore tecnologico, ridimensionati però a partire dalla seconda metà dello scorso anno, si è accompagnata anche una comunicazione che ha supportato efficacemente la percezione del settore. Le industrie attive nell’ambito Tech hanno infatti svolto un ruolo fondamentale durante le fasi più acute della pandemia, salvando letteralmente il business di molte aziende e garantendo una parvenza di normalità nelle relazioni sociali delle persone. Di fatto il Tech, con il 42,6% dei consensi, è il terzo settore più amato in Italia tra gli otto analizzati, posizionandosi dietro solo ad Automotive (44,7%) e GDO (42,9%), ed è al secondo posto nella classifica del minor gap tra aspettative dei consumatori ed esperienza concreta.

Emerge la scarsa attenzione dedicata a sostenibilità, sicurezza e tutela dei dati

La combinazione delle preoccupazioni per il conflitto in Ucraina, la crisi energetica e l’incremento dei prezzi di materie prime e beni a causa dell’inflazione porta, però, per la prima volta a relegare l’innovazione tecnologica fuori dalla top 3 delle priorità attese nei vari settori. Emerge infatti con prepotenza l’insufficiente attenzione che il settore dedica ai temi della sostenibilità ambientale, insieme a una accresciuta preoccupazione per la sicurezza e la tutela dei dati da parte del 51% degli italiani. Il Tech perciò è il settore in cui il gap tra le aspettative dei consumatori e le esperienze effettive offerte dai brand risulta minore, seppure rimanendo in territorio negativo. In generale, considerando tutti e 9 i driver, le aziende tecnologiche si classificano al secondo posto assoluto riguardo alla minore differenza tra aspettative ed esperienze.

“Ingaggiare più efficacemente Millennials e GenZ”

“Se i brand Tech vogliano capitalizzare l’attenzione e la centralità guadagnate, e dar seguito alle impegnative promesse del periodo pandemico, devono agire coniugando azione e comunicazione – dichiara Eros Bianchi, OPRG Vice President e Tech Industry Lead di Omicom -. Ciò significa continuare a operare nella giusta direzione, come riconosciuto dai consumatori, focalizzandosi proprio su un’innovazione concreta e percepita, per poi comunicare in maniera chiara e maggiormente inclusiva quanto di positivo è stato fatto per cambiare in meglio la società e la quotidianità di tutti. In questo senso è fondamentale ingaggiare più efficacemente popolazioni come i giovani Millennials e la Generazione Z, ora poco interessate alle problematiche del settore, ma che rappresentano il suo futuro, sia come consumatori sia come potenziali professionisti”.

Customer Engagement, perchè è strategico in tutti i processi di acquisto?

Parola d’ordine, Customer Engagment. E’ questo, oggi, l’aspetto strategico più importante in tutte le fasi del processo di acquisto. Di cosa si tratta? In parole semplicissime, è l’esperienza che il cliente vive prima, durante e dopo l’acquisto. E le aziende non possono più prescindere da questo passaggio.

Il peso dell’esperienza complessiva

In qualunque processo di acquisto, il prodotto o il servizio rivestono naturalmente un ruolo chiave nelle scelte dei consumatori, ma oggi l’esperienza complessiva offerta da un’azienda o da un brand è altrettanto determinante. Sia che si tratti di un acquisto in un punto vendita fisico sia online, infatti, la relazione che viene instaurata con il cliente può influenzare in modo decisivo il suo comportamento presente e futuro. Il Customer Engagement, che letteralmente significa “coinvolgimento del cliente” e si riferisce all’insieme di attività finalizzate a creare e consolidare la relazione con lo stesso, è diventato sempre più strategico.

Cosa devono fare le attività di Customer Engagement

Le attività di Customer Engagement devono, quindi, mirare a creare conversazioni di qualità con il cliente, che dovrebbe poter scegliere come e quando interagire con l’azienda. Per farlo ci si può avvalere del Conversational Messaging e mettere così a disposizione strumenti incentrati sul mobile quali WhatsApp o SMS, dando agli utenti la possibilità di dialogare con l’azienda nella maniera più immediata, semplice e personalizzata possibile, in tutte le fasi del processo d’acquisto. Tenuto conto che, secondo una recente indagine di Esendex, nell’ultima settimana quasi sette italiani su dieci (il 66%, e oltre il 44% solo negli ultimi tre giorni) hanno contattato, per varie ragioni, un’azienda, e considerando il ruolo che lo smartphone ha stabilmente assunto nelle relazioni con familiari, amici e colleghi, diventa evidente la necessità di utilizzare al meglio i canali di messaggistica per “avvicinare” l’azienda al cliente e rafforzarne la relazione.

Conversazioni di valore

“Per aumentare il valore delle conversioni è sempre più necessario creare conversazioni di valore, durante tutto il processo d’acquisto”, dichiara Carmine Scandale, Head of Sales di Esendex Italia, che continua: “In un mondo ormai intrinsecamente mobile, in un’ottica di Customer Engagement una delle strategie più efficaci consiste oggi nel far leva sul Conversational Messaging che consente di dar vita a conversazioni del tutto personalizzate e favorire un rapporto di fiducia tra il cliente e l’azienda, rendendola ai suoi occhi più efficiente e familiare”.

Laurea e lavoro: il tasso di occupazione è più alto fra i laureati

Quanto può fare la differenza avere una laurea sul mercato del lavoro? Secondo i risultati del report annuale dell’OCSE, dal titolo Education at a Glance 2022, in Italia il tasso di occupazione dei laureati è decisamente superiore a quello dei non laureati. Se infatti si considerano i laureati tra i 20 e i 64 anni il tasso di occupazione è pari al 79,2%, mentre tra le persone con il solo diploma di scuola superiore la percentuale si abbassa al 65,2%.

In Italia i laureati sono poco più del 20% della popolazione

“La laurea figura come requisito fondamentale in un numero sempre più alto di ricerche di personale – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera -. Ma va sottolineato anche che nel nostro paese il numero di laureati resta ancora relativamente basso, con poco più del 20% della popolazione in possesso di un titolo di questo tipo, contro alla media UE del 32% circa”.
Di certo ‘non passare’ per l’università non significa restare esclusi dal mercato del lavoro. Come sottolinea Adami, “ci sono settori in cui il fabbisogno di diplomati resta altissimo: penso ai trasporti e alla logistica, al settore agro-alimentare, alle costruzioni, o al settore amministrativo”.

Medicina, Professioni sanitarie e Servizi Sociali le più “spendibili”

Non va peraltro dimenticato che non tutti i percorsi di laurea presentano la stessa ‘spendibilità’ del titolo sul mondo del lavoro. Guardando ai dati OCSE si scopre, ad esempio, che la laurea che permette di trovare più facilmente il lavoro in Italia resta quella in Medicina, con un tasso di occupazione dell’89%, pari peraltro a quello delle lauree in Professioni sanitarie e in Servizi Sociali.
All’88% è invece il tasso di occupazione di chi possiede una laurea in Ingegneria oppure in Informatica, e si attesta all’85% quello di chi può vantare una laurea in Economia. Risulta invece più difficile trovare lavoro con una laurea in facoltà Umanistiche o Arte. In questo caso il tasso di occupazione è del 76%, ma comunque superiore a quello di chi possiede il solo diploma.

Con la laurea raddoppia lo stipendio

Anche lo stipendio dei laureati si presenta maggiore, tanto che guardando all’arco dell’intera vita lavorativa il guadagno di chi possiede una laurea è mediamente doppio rispetto a quello di chi non vanta un titolo di istruzione secondaria superiore. Questo, considerando che in Italia a un anno dal conseguimento della laurea si percepisce uno stipendio medio di 1.340 euro. Media che sale a 1.407 nel caso delle lauree di secondo livello.

La lettura digitale di ebook nel 2022 in Italia aumenta del 62%

Dopo un significativo incremento di lettori a partire dalla pandemia, anche quest’anno il trend si conferma in forte crescita. Il 2022, infatti, è stato un anno importante per libri e audiolibri, e il tempo totale dedicato alla lettura da parte degli italiani ha raggiunto l’equivalente di 1800 anni, registrando un incremento medio del 62% rispetto all’anno precedente. E se dovessimo combinare lettura e ascolto digitale, si arriverebbe a ben 982 milioni di minuti totali. È quanto rivela il Book report annuale di Rakuten Kobo, piattaforma di ebook e lettori di libri digitali. Di fatto, anche nel 2022 la lettura, soprattutto quella digitale, ha ricoperto un ruolo da protagonista nella quotidianità degli italiani. Ma le ultime tendenze del mondo editoriale arrivano anche dai social. 

“Una corsa sfrenata per i lettori e per le librerie”

“Gli ultimi due anni sono stati una corsa sfrenata sia per i lettori sia per le librerie – ha dichiarato Michael Tamblyn, ceo di Rakuten Kobo -. Nel 2022 le restrizioni Covid si sono allentate, i lettori hanno ricominciato a uscire di casa e Kobo, in qualità di libreria digitale, ha assistito ad alcuni interessanti cambiamenti e nuovi trend nei comportamenti di lettura a livello globale”. 
Se si analizzano i momenti della giornata in cui si legge di più, la situazione varia a seconda della zona d’Italia in cui si vive. A Padova e a Torino, ad esempio, si legge di più durante l’ora del tè, ovvero vero le 16-17, a Roma e Firenze invece si preferisce l’orario dell’aperitivo (19-20), e a Milano, Genova e Treviso il momento preferito per la lettura è quello post cena, prima di andare a dormire (22-23).

Le nuove tendenze arrivano da TikTok

Secondo il Kobo Book Report 2022, anche i social, e in particolare TikTok, hanno giocato un ruolo centrale nello sviluppo dei trend e nella crescita delle vendite Kobo. La piattaforma più usata dalla Gen Z continua infatti a conquistare l’industria editoriale, e sono i consigli degli influencer presenti sulla piattaforma a guidare le tendenze di lettura in Italia.

L’ebook più venduto nel 2022? “Il caso Alaska Sanders” di Joël Dicker

Ma quali sono gli ebook più venduti nel 2022? La classifica dei dieci ebook più venduti in Italia su Kobo quest’anno, riferisce Adnkronos, vede in testa ‘Il caso Alaska Sanders’, di Joël Dicker, seguito da ‘I bambini silenziosi’, di Patricia Gibney, e da ‘Non è un paese per single’, di Felicia Kingsley al terzo posto. La classifica continua con, al quarto posto, ‘Violeta’, di Isabel Allende, al quinto ‘Le ossa parlano’, di Antonio Manzini, al sesto ‘Rancore’, di Gianrico Carofiglio, al settimo ‘Incidente Franciacorta’, di Rebecca Quasi, all’ottavo ‘Il codice dell’illusionista’, di Camilla Läckberg, e al nono ‘La carrozza della Santa’, di Cristina Cassar Scaliai. Chiude la Top ten degli ebook più venduti ‘L’inverno dei Leoni’, di Stefania Auci.

Quattro italiani su cinque comprano durante il Back Friday e il Cyber Monday

Il Black Friday e il Cyber Monday sono diventati due appuntamenti fissi per gli italiani, che aspettano proprio questi momenti dell’anno per fare shopping. Tanto che oggi 4 nostri connazionali su 5 (precisamente l’84%) affermano di voler “investire” in acquisti approfittando degli sconti. Si compa però se ne vale la pena: il 47% farà compere se ritiene che ci sia un’offerta sufficientemente conveniente, mentre solo il 7% dichiara di non essere interessato ad acquistare. Tra gli italiani interessati a fare shopping, quattro su cinque (82%) compreranno oggetti per sé stessi, mentre il 65% acquisterà prodotti per la propria famiglia. Lo rivela lo studio PwC Black Friday/Cyber Monday Italy 2022 condotto fra il 26 ottobre e 1° novembre 2022 su un campione di 2.025 adulti italiani di età superiore ai 18 anni. 

Cosa si acquista? 

“Dai nostri dati emerge che i più acquistati durante il Black Friday e il Cyber Monday saranno i prodotti elettronici e tecnologici, oltre a quelli del comparto fashion, inclusi capi di abbigliamento per adulti, scarpe e accessori, preferiti da due italiani su cinque (41%). Seguono nelle preferenze gli articoli per la casa (21 %), i prodotti di salute e bellezza (20 %) e i libri (19 %)” racconta Erika Andreetta, EMEA Fashion & Luxury Leader e Partner PwC Italia.
Anche se quello rappresentato da queste due occasioni rimane un momento clou per  lo shopping, c’è maggiore attenzione allo scontrino, anche perchè nel 2022 gli italiani hanno riscontrato un aumento dei prezzi in tutte le categorie di spesa rispetto all’anno precedente. Il segmento con l’aumento più marcato sono i prodotti alimentari e le bevande (96%), seguito da viaggi e tempo libero (83%), salute e bellezza (83%) e abbigliamento, scarpe e accessori (83%). Per otto italiani su dieci, l’inflazione e l’aumento dei prezzi di energia e alimentari modificheranno i comportamenti d’acquisto. Più di un terzo del campione intervistato dichiara che comprerà solo ciò di cui ha realmente bisogno (35%), il 18% acquisterà prodotti più economici (18%), mentre il 13% farà shopping in negozi con prezzi più convenienti e competitivi (13%). Solo un consumatore su cinque dichiara che acquisterà meno di quanto avrebbe fatto negli anni passati (17%). Probabilmente per queste ragioni lo scontrino medio sarà di 222 euro, in flessione rispetto al 2021.

Dove si fa shopping?

Per quanto riguarda il “dove” acquistare,  le piattaforme e-commerce e i siti dei big come Amazon si confermano il metodo di ricerca principale per le vendite, preferito da oltre la metà dei consumatori intervistati (53%). Il 34% del campione ha dichiarato di volersi rivolgere ad aggregatori digitali di offerte, mentre il 23% di voler acquistare visitando i siti web di marchi specifici. Altre forme di ricerca comuni sono la consultazione di e-mail e newsletter di brand e rivenditori (24%) e di pubblicità su giornali e riviste (12%).  Gli titani amano lo shopping online soprattutto per la possibilità di ricevere gli articoli a casa con i servizi di consegna a domicilio. Dai dati PwC emerge che un terzo del budget d’acquisto sarà speso presso negozi fisici, l’8% sarà speso online con modalità click and collect, mentre il 4% utilizzando dispositivi di riconoscimento vocale. E per pagare? La carta di credito continua ad essere il metodo di pagamento più diffuso (scelto dal 47% del campione), seguito da PayPal (34%), dall’uso di contanti (10%) e di servizi di pagamento mobile, come Apply Pay (3%).