Curiosità, economia, tecnologia.

Big Data: un mercato da 2,41 miliardi di euro

Quest’anno il mercato Data Management e Analytics in Italia raggiungerà 2,41 miliardi di euro, +20% rispetto al 2021. Una crescita trainata soprattutto dalla componente software (54% del mercato, +25%), mentre la spesa in risorse infrastrutturali cresce in maniera meno sostenuta, sotto la media del mercato. Un buon andamento che coinvolge tutti i settori merceologici, ma in controtendenza con gli anni precedenti, nel 2022 sono GDO/Retail, PA e Sanità i comparti che segnano la crescita più marcata. Il budget Analytics destinato a servizi di Public Cloud sale a un ritmo doppio rispetto alla media di mercato, e sfiora un quarto della spesa in soluzioni e servizi di Data Management & Analytics. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano.

Grandi aziende e Pmi 

Nelle grandi aziende permane la difficoltà nell’inserimento di ruoli professionali specializzati su gestione e analisi dei dati: il 49% dichiara di aver introdotto almeno un Data Scientist, il 76% un Data Analyst e il 59% un Data Engineer. Inoltre, il 66% delle grandi realtà ha sperimentato tempi di recruiting più lunghi, e circa il 40% tassi di turnover più elevati. Quanto alle Pmi, il 55% dichiara di aver portato avanti investimenti in ambito Data Management & Analytics o prevede di farlo entro fine anno. Percentuale in crescita rispetto al 2021, ma che non mostra importanti accelerazioni rispetto agli ultimi tre anni. E quattro aziende su dieci non hanno alcuna figura dedicata all’analisi dei dati. 

Gli Analytics nelle Pmi

Così come già evidenziato negli scorsi anni, permangono importanti differenze tra il livello di maturità delle medie (50-249 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese. Le imprese di medie dimensioni hanno un livello medio di adozione delle tecnologie più alto delle piccole. Inoltre, solo un terzo dichiara di non avere personale dedicato, almeno parzialmente, all’analisi dei dati. La forbice tra piccole e medie registra comunque leggeri segnali di riduzione rispetto agli scorsi anni. Le piccole e medie imprese che hanno figure interne si affidano spesso anche a consulenti esterni, prevalentemente in maniera spot su specifici progetti.

Le aree della Data Strategy

La ricerca ha costruito un indice di maturità complessivo relativo a tre ambiti (Data Management & Architecture, Business Intelligence e Descriptive Analytics, e Data Science), che mostra come solo il 15% delle grandi aziende può dirsi ‘avanzato’, mentre il 30% ‘intraprendente’, il 22% ‘prudente’ e il 33% ‘immaturo’ o ‘ai primi passi’. Negli ambiti Business Intelligence e Descriptive Analyticsle grandi organizzazioni però sono a buon punto. L’83% dichiara la presenza di competenze e il 69% sfrutta strumenti di Data Visualization avanzati. Sul fronte Data Science, prosegue la crescita delle organizzazioni che hanno avviato almeno una sperimentazione in ambito Advanced Analytics (65%). Le funzioni in cui la Data Science trova maggiore applicazione sono Marketing, Vendite, e Produzione, in cui risulta più semplice valorizzare in termini economici i risultati portati dalle singole progettualità.

VPN: perchè in Italia sono sempre più diffuse?

Le statistiche parlano chiaro: negli ultimi anni il cybercrimine è diventato un problema tra i più gravi in Italia. Nel periodo ottobre-dicembre 2021 l’Osservatorio Cybersecurity di Exprivia ha registrato 454 attacchi hacker, con un aumento del 66% rispetto al trimestre precedente, e quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Si tratta di attacchi rivolti soprattutto a banche e siti di grandi aziende, ma anche a singoli cittadini. Per questo motivo l’industria è passata al contrattacco, riporta Adnkronos, con soluzioni di protezione per difendersi dai malintenzionati, e le VPN stanno svolgendo la parte del leone. Gli italiani stanno quindi iniziando a usarle. Ma cosa sono e a cosa servono?

Una Rete Virtuale Privata che maschera la propria attività online

VPN significa Rete Virtuale Privata. Chi scarica l’applicazione VPN si ritrova con un programma installato su computer o smartphone, che permette di mascherare la propria attività online e criptare i dati trasmessi attraverso la rete, prevenendo quindi cyberattacchi e furti di identità online. I nostri dati sono infatti facilmente intercettabili. soprattutto usando le connessioni wireless. Basta un programma apposito e quasi chiunque può rintracciar e i dati mentre ‘escono’ dal nostro computer o smartphone e si ‘infilano’ nei server dell’Internet provider.

Il protocollo tunneling codifica i dati in uscita

Questa è la prima funzione delle VPN. Tramite un protocollo di trasmissione particolare, denominato tunneling, un servizio VPN codifica i dati in uscita utilizzando chiavi ad alta sicurezza, impossibili da decifrare per un ‘normale’ hacker. Questi dati potrebbero essere le credenziali per accedere alla nostra banca, alla nostra posta privata, alle nostre cartelle sanitarie: insomma, la nostra privacy potrebbe essere in pericolo. Se qualcuno riesce a intercettare dati criptati vede invece solo un mare di bit. 

Ingannare l’Internet provider e nascondere la sede della connessione

Inoltre, le VPN permettono di ingannare l’Internet provider facendo apparire la sede della nostra connessione in un altro paese. Diversi paesi bloccano alcuni siti, come la Cina e la Russia. Se per qualche motivo fossimo lì non potremmo accedere a Facebook, ad esempio. Con una VPN invece riusciremo a farlo, perché questa fa credere al sistema che la connessione avvenga in altro paese dove non ci sono limitazioni. Questi sono solo due degli aspetti fondamentali delle VPN e del perché siano così importanti. E gli italiani, che le hanno scoperte recentemente, hanno iniziato a usarle per proteggere la propria navigazione. Una raccomandazione però è necessaria: evitare le VPN gratuite. Proprio perché una VPN serve a difendersi da minacce online è meglio che sia professionale.

Consumi non food, come ci comportiamo in tempi di inflazione?

Riduco, rinvio, rinuncio e soprattutto risparmio: sembrano essere queste le 4 R che dominano gli acquisti non food degli italiani. Un macrosettore che finora ha goduto di ottima salute: il mondo del Non Food italiano ha vinto la grande sfida del 2021, dato che tutti i 13 comparti merceologici analizzati dall’Osservatorio Non Food 2022 di GS1 Italy1 hanno aumentato le vendite annue (+12,0%) e superato i valori pre-pandemia (+2,2% nel quinquennio) arrivando a quota 104,7 miliardi di euro. Ora però tocca a un’altra sfida, ancora più impegnativa visto lo scenario di quest’anno: garantire ai consumatori l’accessibilità ai prodotti non alimentari – dai cosmetici agli elettrodomestici, dai mobili agli smartphone, dai casalinghi ai capi di abbigliamento, dalle attrezzature sportive ai televisori – quelli che, per loro natura, non sono acquisti strettamente indispensabili e che, quindi, sono i primi a essere messi in discussione quando si ha (o si teme di avere in prospettiva) una minore capacità di spesa.

Come comprano gli italiani

Come si muovono gli italiani per comprare alle migliori condizioni i prodotti non alimentari? In modo sistematico, partendo dal confronto sui prezzi praticati sia nei negozi fisici che nei siti e nelle piattaforme online, rivela l’Osservatorio Non Food 2022 di GS1 Italy. Tra il 35 e il 45% degli acquirenti si informa del prezzo direttamente in negozio davanti allo scaffale e circa il 20% si informa con quello esposto in vetrina (in particolare per abbigliamento, profumeria, ottica e arredamento). Allo stesso tempo, c’è una significativa quota di consumatori che si informa dei prezzi attraverso i canali online, ad esempio sui siti specializzati in e-commerce (come Amazon) soprattutto per elettronica e giocattoli (circa il 45% dei casi), sugli e-shop delle catene specializzate e sui motori di ricerca (come Google), in particolare per elettrodomestici, elettronica e articoli per lo sport con circa il 30% dei casi.

Il plus? La convenienza degli e-commerce

La convenienza è il plus che porta a scegliere i siti di e-commerce, a partire dai pure player dell’online. Circa la metà degli shopper cerca su internet i prezzi più bassi e dal 30% al 40%, a seconda dei comparti, viene attratto dalle offerte promozionali. Nella rete fisica il livello dei prezzi e, soprattutto, di quelli in volantino è in quasi tutte le merceologie il motivo principale che fa scegliere di acquistare negli ipermercati o nei supermercati di grandi dimensioni, in particolare alcune merceologie (come i libri best seller, la cartoleria e l’edutainment in genere) e in alcuni periodi dell’anno, come Natale. Le offerte promozionali sono determinanti anche per spingere gli acquisti nei negozi specializzati (in particolare nel mondo dei casalinghi) e nei discount, soprattutto per articoli per la casa e piccoli elettrodomestici.

Il digitale guida la ripresa del Turismo

La conferma arriva dall’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano: l’e-commerce dei viaggi guida la ripresa del Turismo italiano.
Dopo due anni caratterizzati dalle limitazioni alla mobilità, il settore del turismo nel suo complesso registra una forte ripresa, avvicinandosi ai livelli del pre-pandemia. E a guidare questo trend positivo è proprio la componente digitale. Nel 2022 l’e-commerce nel mercato dei trasporti cresce in valore assoluto del +84% rispetto al 2021, toccando quota 11,2 miliardi di euro, e attestandosi a -6% sul 2019. Nel mercato ricettivo invece gli acquisti online crescono del +32% e oltrepassano quota 14,9 miliardi, superando del 2% il dato pre-pandemia, ovvero i 14,5 miliardi del 2019.

Trasporti: un mercato da 16,6 miliardi di euro 

Nel 2022 il comparto dei trasporti, tra online e offline nelle tre componenti incoming, domestica e outgoing, vale complessivamente 16,6 miliardi di euro, riducendo a -24% il gap con il 2019, anno in cui il totale del mercato aveva toccato quota 21,7 miliardi. Si registra quindi un aumento del +62% rispetto al 2021, quando il valore complessivo dei trasporti era sceso a soli 10,2 miliardi. L’e-commerce di settore continua la sua rincorsa, e con 11,2 miliardi di raccolta arriva a superare i due terzi del totale del mercato (68%, contro il 32% del canale offline). La rilevanza degli acquisti online si manifesta in particolar modo nelle prenotazioni tramite canali diretti, che arrivano nel 2022 a rappresentare l’88% del volume digitale totale. 

Comparto ricettivo: +26% rispetto al 2021

Anche il comparto ricettivo, alberghiero ed extra-alberghiero, è in recupero. Considerando i flussi incoming e quelli domestici, nel 2022 il comparto vale 28,3 miliardi, in crescita del 26% rispetto al 2021. Restano ancora lontani i livelli del 2019, quando il totale del comparto (offline più online) valeva 33,4 miliardi di euro, ma la distanza si riduce sensibilmente.
Nell’ospitalità l’e-commerce raggiunge i 14,9 miliardi di euro (+3,6 miliardi rispetto al 2021), continuando a crescere a tassi più alti rispetto al totale del mercato, sebbene inferiori a quelli dello scorso anno, anche a causa del ritorno delle vendite in agenzia (+27% sull’anno scorso). Nel complesso, quindi, l’e-commerce rappresenta il 53% del comparto ricettivo contro il 47% dell’offline, mentre dopo due anni di sostanziale parità, le transazioni digitali sul canale indiretto (62%) tornano a erodere parzialmente l’incidenza di quelle sul canale diretto (38%).

Tour operator e crociere in crescita vertiginosa: +106% 

Anche il turismo organizzato (tour operator e crociere) registra una buona ripresa, cui contribuisce il ritorno dei viaggi internazionali. Il fatturato del comparto, in grande sofferenza nel 2021 (-66% rispetto al 2019), recupera oltre la metà della perdita, con una crescita del +106% negli ultimi 12 mesi. Anche per le agenzie di viaggio, dopo il crollo del -72% tra 2019 e 2021, si nota una netta inversione di tendenza in positivo: nel 2022 la crescita annua è del +182% e il differenziale con l’anno pre-pandemia torna a un incoraggiante -21%.

Acquisti online: nel 2022 +20%, ma rallenta l’e-commerce di prodotto

Dopo due anni di crescita l’e-commerce di prodotto è in una fase di evoluzione più strutturata e controllata. Nel 2022 rimane stabile (11%) la penetrazione dell’e-commerce sul totale Retail nei prodotti, mentre aumenta dal 12% al 14% quella nei servizi. L’e-commerce di prodotto continua quindi la sua corsa, pur con un ritmo più contenuto (+8%) rispetto al 2021 (+18% sul 2020), toccando 33,2 miliardi di euro. Gli acquisti online di servizi, invece, portano a termine il proprio percorso di ripresa (+59%) e raggiungono quota 14,9 miliardi di euro. Ma in generale, nel 2022 gli acquisti online in Italia valgono 48,1 miliardi di euro, +20% rispetto al 2021. Sono alcune evidenze dell’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano e Netcomm, dal titolo eCommerce B2c: verso una crescita sostenibile.

I retailer ripensano il negozio in ottica omnicanale

Si continua inoltre a ridurre progressivamente lo spazio del Retail ‘solo fisico’ e di quello ‘solo online’ a vantaggio di modelli che sappiano coniugare i punti di forza delle diverse alternative. Da una parte, i retailer ripensano il negozio in ottica omnicanale (chioschi digitali in store, punti vendita che svolgono la funzione di magazzino e formule di click&collect), dall’altra le dot com si avvicinano sempre più al mondo offline, sia tramite progetti sperimentali, come pop-up store presenti all’interno di negozi o in nodi strategici delle città, sia attraverso investimenti più strutturati nella rete fisica, come ad esempio, i flagship store. 

Meno fatturati, più spese. E diminuisce l’export

“L’instabilità geopolitica, la crisi della supply chain, così come il ritorno alla piena attività dei negozi fisici, stanno influenzando la dinamica dei consumi in Italia”, commenta Valentina Pontiggia, Direttrice dell’Osservatorio. Non sono infatti rosee le aspettative dei merchant del nostro Paese: circa uno su due ha rivisto le stime a chiusura del conto economico per accogliere modifiche, al ribasso, del proprio fatturato, e al rialzo, delle spese. Già ad aprile 2022, l’88% del campione dichiarava l’incremento dei costi di energia e trasporto, il 65% l’aumento dei costi delle materie prime e l’11% una diminuzione dell’export, soprattutto verso i paesi più coinvolti nelle tensioni socio-politiche.

I merchant sono al lavoro sull’intera catena del valore 

In un contesto altamente volubile e sfidante come quello attuale, tutti i principali merchant sono al lavoro sull’intera catena del valore (marketing, customer care, pagamenti, logistica, tecnologia) per migliorare i ricavi, ma soprattutto per contenere i costi con obiettivi di breve, medio e lungo termine.
Il ripensamento dei processi si traduce nell’implementazione di soluzioni tecnologiche in grado di abilitare un modello di commercio omnicanale. È in atto un processo di trasformazione e integrazione dell’infrastruttura di back-end che coinvolge a 360° le attività di gestione di un’iniziativa e-commerce: dalla raccolta e utilizzo del dato (CDP), fino alla gestione delle informazioni (PIM, DAM) e degli ordini (OMS).

L’ora legale tutto l’anno? Farebbe risparmiare 3 miliardi di euro

Siamo tutti abituati, due volte l’anno, a spostare avanti o indietro le lancette dell’orologio di 60 minuti per assestarci sull’ora solare o legale. Tuttavia, dicono le più recenti stime, se mantenessimo tutto l’anno l’ora legale potremmo avere un deciso beneficio in termini di risparmio energetico. E, visti i tempi che corrono, l’opzione è particolarmente interessante, sia per le imprese sia per le famiglie. 
“Mantenere l’ora legale potrebbe certamente contribuire a scongiurare tutte quelle misure pratiche di emergenza – conferma Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro Pmi – come la riduzione degli orari di lavoro, lo spegnimento anticipato e l’accensione posticipata dell’illuminazione e, nei casi peggiori, gli eventuali distacchi che le imprese potrebbero trovarsi costrette ad attuare per tamponare le criticità della situazione. Per questo facciamo appello al governo perché valuti con molta rapidità i benefici di questa proposta”.

Cosa cambierebbe con un’ora di luce in più

In base ai dati raccolti nella ricerca realizzata dal Centro Studi di Conflavoro Pmi in merito alle modalità per ammortizzare i costi energetici, si legge che confermando l’ora legale tutto l’anno nel 2023 si potrebbero spendere 2,7 miliardi di euro in meno in energia elettrica. “Facciamo un esempio pratico: a Roma, quando l’ora solare è in vigore, il 21 dicembre (il giorno più corto dell’anno) il sole tramonta alle 16.42. Con quella legale – spiega Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro Pmi – diventerebbero le 17.42. È vero che l’alba dello stesso giorno verrebbe spostata alle 8.34, anziché alle 7.34, ma il risparmio di consumi e luce elettrica sarebbe comunque maggiore visto che alle cinque di pomeriggio la gran parte delle attività lavorative è ancora in pieno svolgimento”.

2,7 miliardi risparmiati nel 2023

Ipotizzando che nel periodo in cui vige l’ora solare si applicasse l’ora legale (30 ottobre – 26 marzo, per un totale di 147 giorni), si acquisterebbe un’ora di luce naturale al giorno in più, per un totale di 147 ore, riporta Askanews. Considerati gli attuali prezzi, determinerebbe nel nostro Paese risparmi sui consumi di energia ipotizzabili in 2,7 miliardi di euro per il 2023. Si tratta di una stima basata sull’ultimo fabbisogno energetico certo (dati del gestore al 2021) pari a 318,1 miliardi di KWh rinnovabili comprese (i primi 8 mesi del 2022 hanno già registrato una media di fabbisogno mensile di 25,9 miliardi di KWh) calcolati sul prezzo oggi nel mercato tutelato da Arera, ossia 0,51 euro/KWh calcolato al momento per il mese di ottobre 2022.

Ue, arriva il caricabatterie unico per contrastare 51mila tonnellate di rifiuti elettronici

Comodo, pratico, ma soprattutto sostenibile. Il caricabatterie universale è realtà e verrà introdotto definitivamente nel 2024 su tutti i device: a decretarlo è stato il Parlamento Europeo, che a Strasburgo ha preso questa decisione epocale. Oltre a vantaggi per gli utenti, che potranno utilizzare un solo cavo, il pronunciamento punta a contrastare l’emergenza dovuta ai rifiuti elettronici, che sono una vera e propria piaga contemporanea.

Risparmi per gli utenti e cura per l’ambiente

In base alle stime effettuate, si ipotizza che i nuovi obblighi aiuteranno i consumatori a risparmiare fino a 250 milioni di euro l’anno sull’acquisto di caricabatterie inutili, liberando l’ambiente di circa 11mila tonnellate di rifiuti elettronici. Soddisfazione da parte della Sima, la Società italiana di medicina ambientale, che commenta così questa storica decisione: “I rifiuti elettronici sono la categoria di rifiuti che cresce più velocemente nell’Ue e ogni anno in Europa vengono prodotte circa 51mila tonnellate di rifiuti elettronici, 44,7 milioni di tonnellate nel mondo, con un impatto negativo sull’ambiente considerato che i dispositivi elettronici ed elettrici gettati contengono materiali potenzialmente nocivi che generano inquinamento e aumentano i rischi per le persone addette allo smaltimento”, spiega il presidente, Alessandro Miani. In Italia si stima che ogni cittadino produca circa 16,6 kg di rifiuti elettronici all’anno, ma raramente si esegue un corretto smaltimento di tali prodotti: nel nostro Paese solo il 32,1% dei rifiuti elettronici viene riciclato, contro una media Ue di circa il 40%. “Sul tema sono stati fatti enormi passi avanti, col numero di caricabatterie elettronici passato dai 30 modelli diversi del 2009 alle 3 tipologie standard attualmente in commercio – spiega Miani, come riporta Adnkrronos-. L’introduzione di un caricatore universale, quindi, avrà innegabili vantaggi sul piano ambientale, perché permetterà di abbattere le quantità di rifiuti elettronici prodotte ogni anno da cittadini che utilizzano smartphone, tablet e altri apparecchi”.

Cosa accade dal 2024

Sul piano pratico, invece, cosa accade nelle nostre case e nei nostri uffici? Entro la fine del 2024, tutti i telefoni cellulari, i tablet e le fotocamere in vendita nell’Unione Europea dovranno essere dotati di una porta di ricarica Usb-c. Dalla primavera 2026, l’obbligo si estenderà ai computer portatili. Il Parlamento a Strasburgo si è espresso in modo compatto, con un totale di 602 sì, 13 no, 8 astenuti. Indipendentemente dal produttore, tutti i nuovi telefoni cellulari, tablet, fotocamere digitali, auricolari e cuffie, console per videogiochi portatili e altoparlanti portatili, e-reader, tastiere, mouse, sistemi di navigazione portatili, cuffiette e laptop ricaricabili via cavo, che operano con una potenza fino a 100 Watt, dovranno essere dotati di una porta USB-C.

Password addio, ecco a cosa stanno lavorando i big tecnologici 

Lo sappiamo tutti benissimo: negli ultimi anni, è cresciuto esponenzialmente il numero di password che ognuno di noi deve ricordare. Per dare qualche dato spicciolo: i dipendenti delle piccole e medie imprese utilizzano fino a 85 password, evidenzia un rapporto di Lastpass, mentre quelli delle grandi aziende ne utilizzano in media 25. In ogni caso, si tratta di un numero impressionante di codici da fissare nella propria memoria. E’ questa una delle principali ragioni per cui i big tecnologici come Apple e Google stanno cercando di sviluppare soluzioni così che gli utenti non debbano ricordare tutte queste credenziali e allo stesso tempo mantenere alti i livelli di sicurezza. 

Le password come le conosciamo oggi scompariranno davvero?

Con il suo ultimo sistema operativo per iPhone, Apple ha rilasciato nuove chiavi di accesso. O, nelle parole dell’azienda, “una sostituzione della password”. “Sono più veloci nell’accedere, più facili da usare e molto più sicure”, afferma Apple. Questo nuovo sistema consente all’utente di accedere a qualsiasi applicazione o servizio tramite Face ID o Touch ID, i sistemi di riconoscimento facciale e di identificazione delle impronte digitali di Apple. Cioè, senza inserire manualmente alcuna password. Tra i vantaggi di queste keys, l’azienda della Mela sottolinea che sono più efficaci contro il phishing (una tecnica per ottenere i dati anagrafici e bancari di un utente fingendo di essere un’azienda o un’istituzione nota). Questa novità ci impedirebbe di inserire le nostre credenziali in siti fraudolenti pronti a rubarle, poiché l’identificazione come utenti è gestita in modo crittografato point-to-point il nostro dispositivo e il servizio online a cui si vuole accedere .

Come funzionano le chiavi di accesso Apple?

Quando l’utente crea una di queste chiavi di accesso, il sistema operativo genera una coppia di chiavi crittografiche univoche da associare a un’applicazione o all’account di un sito Web. Garrett Davidson, un ingegnere del team di autenticazione dell’azienda, spiega che una di queste chiavi è pubblica e archiviata sui server Apple, mentre l’altra è segreta e rimane sempre sul tuo dispositivo. “Il server non apprende mai qual è la tua chiave privata e i tuoi dispositivi la mantengono al sicuro”, afferma.
Questi sistemi alternativi alla password sono crittografati e sincronizzati su tutti i tuoi dispositivi Apple utilizzando iCloud. Se viene usato un dispositivo non compatibile con questo sistema di archiviazione, viene generato un codice QR che deve essere scansionato con l’iPhone. Però non tutte le app, a oggi, supportano questa modalità.

Gli eventuali limiti

Di fronte al potenziale delle chiavi di accesso di Apple per porre fine ad alcuni problemi di sicurezza delle password, è ancora presto per valutarne i possibili limiti. Ad esempio, uno dei problemi inerenti ai sistemi di autenticazione che utilizzano l’identificazione biometrica è che non può essere modificata. Ancora, i sistemi biometrici non sono infallibili. Il futuro delle password tradizionali, però, sembra tracciato. La loro fine, pare, si avvicina: resta da sapere quando.

Nel 2022 le piccole cose di tutti i giorni fanno la felicità

Cresce l’importanza della cura di sé come priorità e non come vanità, si dà più valore al quotidiano nella sua autenticità, e aumenta l’attenzione alla sostenibilità delle nostre azioni. Segni di un importante cambiamento culturale in atto che tutti possiamo cogliere, e che sono stati intercettati anche dal rapporto europeo realizzato da Ketchum Research and Analytics per Lenor. La ricerca ha voluto indagare ciò che in questo anno conta veramente per i cittadini europei. Ma nel nostro Paese l’indagine ha rilevato che dopo la pandemia il 30% degli italiani ha dovuto fare i conti con umore basso e sensazione di tristezza, e ha sentito la mancanza di almeno un ‘grande momento’, come vacanze, matrimoni, fidanzamenti, feste di laurea.

Prendersi cura di sé almeno una volta al giorno 

Allo stesso tempo, però, il 63% degli intervistati si è reso conto che in assenza di questi ‘grandi momenti’, sono state proprio le piccole cose di tutti i giorni a farli sentire felici, e il 76% concorda nell’affermare che dal periodo della pandemia apprezza i ‘momenti più piccoli’ tanto quanto quelli più grandi. In particolare, tra le piccole cose quotidiane più amate, spiccano i gesti per sé stessi. Il 97% degli italiani afferma infatti che ha bisogno di dedicare almeno un momento al giorno a prendersi cura di sé, e sentirsi riposato e in forma in modo da poter affrontare i propri impegni. Non solo: la ricerca ha evidenziato che il 59% degli italiani preferisce spendere tempo e risorse per migliorare il proprio benessere fisico e mentale (ad esempio, facendo meditazione o esercizio per mantenersi in buona salute), contro un 41% che si concentra solo sull’aspetto fisico (ad esempio, andando regolarmente dal parrucchiere, comprando nuovi vestiti, concedendosi trattamenti estetici).

Meglio il proprio letto che quello di un hotel

Il 68% degli intervistati, inoltre, sceglie di sentirsi bene mentalmente ritagliandosi del tempo per sé, e oltre la metà afferma che preferirebbe infilarsi tra le lenzuola appena lavate del proprio letto piuttosto che passare una notte in hotel. E se il 78% degli italiani oggi si sta concentrando maggiormente sulla cura di sé rispetto a 5 anni fa, la maggior parte afferma di essere anche più attento all’ambiente rispetto a 2 anni fa, facendo più attenzione a riciclare (94%) e prendendo sempre o regolarmente decisioni eco-sostenibili (66%), riporta Ansa.

“Un cambiamento fondamentale nella nostra quotidianità”

“Questo rapporto mostra che durante questi anni di pandemia c’è stato un cambiamento fondamentale nel modo in cui cerchiamo di migliorare la nostra quotidianità, poiché ci siamo resi conto che sono le piccole cose a essere le più importanti e quelle con il maggior impatto sul nostro benessere – commenta Alessandro Castronovo, Senior Director P&G per l’Italia -. Non c’è più necessariamente il bisogno di ‘grandi gesti’ o ‘grandi momenti’. Questa ricerca mostra quanto sia importante cercare di vivere momenti di benessere anche piccoli, ma ogni giorno”.

Digital Quality Life, Italia è il 19° paese al mondo per benessere digitale 

Sempre meglio, ma si può fare ancora di più. Ecco, in sintesi, la valutazione complessiva del nostro paese all’interno del Digital Quality of Life Index 2022, analisi (con relativa classifica) di Surfshark, società che sviluppa strumenti per la protezione della privacy, che fa il punto sullo stato del benessere digitale dei singoli paesi. In sintesi, l’Italia si colloca alla 19a posizione (su un totale di 117 paesi e 7,2 miliardi di individui, ovvero il 92% della popolazione mondiale) in termini di benessere digitale, migliorando di ben 8 posizioni rispetto la rilevazione precedente. Bene, dunque, ma ci sono ulteriori margini di miglioramento.

Gli indicatori cardine 

Sono cinque i parametri principali analizzati nella ricerca, con 14 indicatori chiave: qualità di Internet, e-government, e-infrastrutture, accessibilità a Internet e e-security. Lo studio si basa sulle informazioni open-source delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, di Freedom House, dell’Unione Internazionale delle Comunicazioni e di altre fonti, riferisce Agi. In particolare, il rapporto esplora la “qualità della vita digitale per vedere come le diverse nazioni riescono a fornire le necessità digitali di base ai loro cittadini. Soprattutto, la nostra ricerca cerca di mostrare il quadro completo del divario digitale globale di cui soffrono milioni di persone” ha spiegato Gabriele Racaityte-Krasauske, responsabile PR di Surfshark.

Ni all’efficienza della rete, sì alla convenienza

Per quanto riguarda i vari punteggi, il risultato peggiore dell’Italia è riferito alla qualità di Internet (42° posto a livello globale. L’Italia deve migliorare del 50% per eguagliare il risultato del Cile, che occupa la posizione migliore), mentre il migliore è quello dell’accessibilità a Internet (12° posto). I servizi di e-security sono al 17° posto, mentre le infrastrutture e l’e-government sono rispettivamente al 23° e al 26° posto. Però, anche il livello può apparire basso, la qualità di Internet dell’Italia, considerando la velocità, la stabilità e la crescita, è migliore del 10% rispetto alla media globale.Bene anche per quanto riguarda la velocità: la rete fissa a banda larga italiana colloca il Paese al di sopra di quella mobile nella classifica globale, con una velocità di 108,5 Mbps/s (39° posto a livello mondiale). Notizia incoraggianti anche per la rete mobile, che dall’anno scorso è migliorata in velocità dell 18,4% (8,7 Mbps). L’Internet più veloce del mondo? E’ quello di Singapore, con velocità mobili fino a 104 Mbps/s e fisse fino a 261 Mbps/s. Siamo invece in ottima posizione per quanto concerne la convenienza, ovvero l’accessibilità della rete: i nostri connazionali possono acquistare 1 GB di Internet mobile in Italia con 20 secondi di lavoro al mese, il 48% in meno rispetto alla Spagna.