Curiosità, economia, tecnologia.

Perchè il 2023 è l’anno cruciale per il mercato industriale 5G?

Il 2023 ha segnato un punto di svolta nel panorama industriale del 5G, con l’adozione degli standard chiave che lo distinguono dalle precedenti generazioni di reti mobili. In quest’anno, i principali operatori di telecomunicazioni hanno formalizzato le prime offerte commerciali per reti private, rivolte specificamente alle singole aziende.
A seguito di questa opportunità, diverse reti 5G MPN (Mobile Private Network) sono state implementate nel 2023 grazie a capitali privati, segnando una transizione rispetto al finanziamento pubblico. In Europa, si contano complessivamente 117 progetti 5G industriali, di cui più della metà ha meno di due anni, con l’Italia che registra sette nuovi casi nel corso del 2023.

Prospettive e incertezze  

Entro il 2026, si prevede che il mercato industriale 5G raggiunga un valore di 1,72 miliardi di euro in Europa, di cui il 10% rappresentato dall’Italia. Tuttavia, questo valore è soggetto a una serie di variabili, poichè dipende dalla capacità del settore pubblico di stimolare l’adozione, dall’offerta di soluzioni e servizi, e dalla fiducia e capacità del settore privato nel lanciare progetti.

Sfide del prossimo futuro

I risultati della ricerca dell’Osservatorio 5G & Beyond della School of Management del Politecnico di Milano, presentati nel convegno “5G: le reti industriali mettono in moto il mercato”, evidenziano il ruolo cruciale del 5G come piattaforma per la digitalizzazione dei processi operativi e il supporto alla nuova automazione.
Tuttavia, la strada per il pieno sviluppo del mercato 5G presenta ancora diversi ostacoli. Lo sviluppo delle reti pubbliche procede a un ritmo inferiore alle aspettative, mentre i progetti attuali sono focalizzati principalmente sull’infrastruttura di rete, trascurando la progettazione di applicazioni innovative.

La competizione fra cloud provider

A livello globale, la velocità di sviluppo del 5G dipenderà anche dalla dinamica tra i grandi provider di cloud Hyperscaler e gli operatori di telecomunicazioni. La crescita del 5G è evidente nei Paesi con un tessuto economico più robusto e tassi di digitalizzazione più elevati. Secondo le stime dell’Osservatorio, il mercato industriale 5G in Europa raggiungerà un valore di 1,72 miliardi di euro entro 3 anni, escludendo il potenziale mercato di servizi a valore aggiunto. L’ottimismo suggerisce che, in condizioni favorevoli, il mercato potrebbe superare i 2 miliardi di euro nel 2026.
Nei 27 Paesi dell’Unione Europea, sono stati identificati 92 progetti di Mobile Private Network, con un aumento significativo nel 2023. Germania e Finlandia spiccano per il numero di progetti, ma anche l’Italia mostra un buon rendimento con sette nuovi progetti quest’anno.

Vantaggi del 5G nelle reti industriali

Le reti industriali utilizzano ampiamente tecnologie wireless alternative al 5G, ma il 5G si distingue per la sua affidabilità e capacità di copertura in aree industriali estese. La ricerca evidenzia come, in contesti con copertura geografica limitata, il 5G risulti più affidabile del WiFi.
Il futuro del mercato 5G industriale sarà influenzato da scelte politiche, progetti di smart city, sviluppo della mobilità autonoma e successo di applicazioni verticali. Le prospettive ottimistiche indicano che, con condizioni favorevoli, il mercato potrebbe superare i 2 miliardi di euro nel 2026.

Torino green: le iniziative ecologiche che stanno trasformando la città

La città di Torino si sta impegnando attivamente per promuovere la mobilità sostenibile e ridurre l’impatto ambientale dei trasporti.

L’amministrazione Lo Russo, in carica ormai da 2 anni, prosegue in una lenta ma efficace transazione verso il “green” sia per quel che riguarda la mobilità che per quanto riguarda la gestione dei rifiuti e non ultima la riqualificazione urbana.

Ecco alcune tra le iniziative più interessanti, che altri comuni italiani hanno già pensato di proporre a loro volta.

La mobilità sostenibile: un nuovo volto per Torino

Una delle iniziative più significative è stata l’introduzione di una rete di piste ciclabili ben sviluppata, ben 32 km, che promuovono l’uso delle biciclette come mezzo di trasporto quotidiano.

Oltre a ciò, il servizio di bike sharing è stato ampliato, diventando per i cittadini un’alternativa comoda ed ecologica per gli spostamenti brevi, il cosiddetto “ultimo chilometro”.

Inoltre, si stanno potenziando i trasporti pubblici ecologici, come tram e autobus a basse emissioni, per incentivare l’uso del mezzo pubblico e migliorare la qualità dell’aria.

L’architettura verde: edifici e quartieri sostenibili

Torino è diventata anche pioniera nell’architettura verde, con l’adozione di nuovi standard per la costruzione di edifici e quartieri sostenibili.

Stanno dunque prendendo forma numerosi progetti che vantano nuovi sistemi di efficienza energetica come l’uso di materiali eco-friendly, l’isolamento termico avanzato e l’installazione di sistemi di produzione di energia rinnovabile.

Alcuni quartieri sono stati completamente rinnovati seguendo principi di eco-design, con spazi verdi, parchi urbani e sistemi di raccolta delle acque piovane. Queste iniziative stanno trasformando l’aspetto della città e creando un ambiente urbano più sostenibile.

Torino e l’energia rinnovabile: una città alimentata dal sole

Un’altra iniziativa ecologica che sta trasformando Torino riguarda l’energia rinnovabile. Tanti cittadini hanno deciso di usufruire del Bonus Casa per procedere con l’installazione di impianti fotovoltaici Torino per sfruttare l’energia solare.

Sui tetti di edifici pubblici e privati si stanno installando pannelli solari per generare energia pulita e ridurre l’uso delle fonti tradizionali. Questo impegno verso l’energia solare sta contribuendo a ridurre le emissioni di gas serra e a rendere Torino sempre più autosufficiente dal punto di vista energetico, contribuendo ad un futuro più sostenibile.

La gestione dei rifiuti: verso una città senza sprechi

Torino sta adottando un approccio innovativo alla gestione dei rifiuti puntando sulla loro riduzione, il riciclo ed il recupero delle risorse.

La città ha implementato un sistema di raccolta differenziata esteso, che coinvolge i cittadini nella separazione dei materiali riciclabili.

Inoltre, sono state promosse campagne di sensibilizzazione per ridurre gli sprechi alimentari e incoraggiare il compostaggio domestico.

Torino sta anche investendo nella creazione di impianti di biogas per il recupero dell’energia dai rifiuti organici. Queste iniziative stanno contribuendo a rendere il capoluogo Piemontese una città più pulita e sostenibile.

Green spaces e parchi urbani: l’importanza della natura in città

Il capoluogo sta dedicando sempre più spazio alla natura all’interno della città, con la creazione di nuovi parchi urbani e la riqualificazione di aree verdi esistenti.

Questi green spaces offrono un’opportunità per la ricreazione, l’incontro sociale e la promozione di uno stile di vita sano.

Oltre a fornire aree piacevoli da vivere ogni giorno, i parchi urbani contribuiscono anche a migliorare la qualità dell’aria e a mitigare l’effetto dell’isola urbana di calore.

Il Comune di Torino dunque sta investendo nella valorizzazione di questi spazi verdi, riconoscendo l’importanza del contatto con la natura per il benessere dei suoi cittadini.

Deci si passi avanti verso la transizione ecologica

In sintesi, Torino sta compiendo importanti passi avanti verso la transizione ecologica. Le iniziative messe in campo dall’amministrazione Lo Russo stanno contribuendo a ridurre l’impatto ambientale della città, migliorare la qualità della vita dei cittadini e a creare un ambiente urbano più sostenibile.

Il percorso intrapreso è in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che mira a promuovere lo sviluppo sostenibile in modo equo ed inclusivo. La città sta dimostrando di essere impegnata a contribuire ad un futuro più sostenibile per il pianeta e per i suoi abitanti.

I longennials? Vogliono avviare un’attività imprenditoriale digitale

Oltre il 55% degli italiani desidera lavorare come freelance e diventare nomadi digitali, secondo l’ultima indagine condotta da BeDigital Academy, accademia digitale fondata nel 2016 da Angelo Laudati. Questo desiderio è particolarmente diffuso tra i professionisti over 40 e i cosiddetti “longennials” che aspirano a lasciare il tradizionale lavoro dipendente per avviare un’attività imprenditoriale digitale.

Dallo smart working all’aspetto economico, i vantaggi del lavoro digitale

Il mondo del lavoro sta attraversando profonde trasformazioni negli ultimi anni, e le competenze digitali sono diventate essenziali per mantenere la competitività delle aziende. Inoltre, la richiesta di professionisti specializzati nel campo digitale è in costante crescita, con numerose opportunità lavorative e un’elevata domanda da parte delle aziende. Secondo l’indagine di BeDigital Academy, il 43,2% dei lavoratori desidera entrare nel settore digitale proprio a causa di queste numerose opportunità.
Allo stesso tempo, il 42,7% ritiene che lavorare nel digitale offrirebbe la possibilità di lavorare da qualsiasi luogo, consentendo la flessibilità e la libertà di viaggiare (36,7%). Inoltre, il 24,5% è motivato da ragioni economiche, poiché il lavoro nel settore digitale può garantire un buon guadagno, e un altro 24,5% desidera evitare spostamenti e lavorare in modo più flessibile.

Molti professionisti, oltre il 40%, sognano di avviare un business digitale, ma spesso vengono frenati dalla mancanza di competenze digitali. Di questi, oltre il 55,1% aspira a lavorare come freelance, mentre solo il 28,6% cerca un impiego presso grandi aziende, e il 16,6% desidera collaborare come consulente con startup. In particolare, il 42,9% degli intervistati ha il sogno di lanciare un proprio progetto imprenditoriale o business digitale, mentre il 30,6% sta già lavorando in questa direzione, e il restante gruppo ritiene di non avere le competenze digitali e tecnologiche necessarie per farlo.

Servono competenze digitali, soprattutto fra gli over 50

Angelo Laudati, fondatore di BeDigital Academy, sottolinea l’importanza di acquisire competenze digitali per essere attori consapevoli della società della conoscenza e dell’innovazione in cui viviamo. Per rispondere a questa esigenza, BeDigital Academy ha lanciato il corso “Digitalizzati”, un programma di formazione online on-demand della durata di 25 ore che copre una vasta gamma di argomenti, tra cui SEO, social media, analisi e pubblicità.

Inoltre, l’indagine evidenzia che una nuova generazione di lavoratori, tra cui gli over 50, è pronta ad abbracciare nuove sfide e cambiamenti di carriera. Oltre il 50% dei professionisti over 40 e over 50, noti come “longennials,” aspirano a intraprendere una nuova carriera nel campo digitale. BeDigital Academy si impegna a colmare il divario generazionale digitale offrendo formazione a queste categorie di lavoratori che desiderano avviare una carriera nel settore o creare un’impresa digitale.

Le professioni più adatte agli over

Le professioni digitali più adatte agli over 40 includono consulenti in digital marketing, manager di e-commerce, specialisti SEO e esperti SEM. Per avere successo in queste carriere, è fondamentale acquisire competenze come la gestione dei dati, la strategia dei contenuti, l’ottimizzazione per i motori di ricerca, la gestione dei social media e la pubblicità online.

In conclusione, il panorama del lavoro sta subendo un cambiamento significativo con l’aumento della richiesta di competenze digitali, e sempre più persone, compresi i professionisti più maturi, stanno cercando di adattarsi a questa nuova realtà lavorativa attraverso la formazione e l’acquisizione di competenze digitali.

Gen Z, quali sono i rischi delle challenge online?

La Generazione Z è cresciuta con uno smartphone in mano, uno strumento che li connette al mondo ma che, allo stesso tempo, li espone a rischi globali. Tuttavia, i ragazzi non hanno ancora maturato le competenze necessarie per gestire consapevolmente questa tecnologia. Sono impreparati a farlo dal punto di vista fisiologico.
Questa situazione li ha portati ad affrontare sfide sociali, alcune delle quali possono essere pericolose. Un esempio è la “Hot Chip Challenge”, una sorta di gara in cui i partecipanti devono mangiare patatine estremamente piccanti senza bere o cercare di lenire il bruciore. Tale fenomeno, che si è diffuso online, ha già causato malori ed è aperto anche ai minori, dato che il prodotto viene venduto in una confezione a forma di bara su Internet.

Oltre il 6% dei teenager ha partecipato a sfide social

Claudia Mortali, ricercatrice presso il Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità, segnala che circa il 6,1% degli studenti italiani di età compresa tra gli 11 e i 17 anni ha partecipato almeno una volta a sfide social. Le challenge legate al cibo sono particolarmente diffuse, spesso importate da altri Paesi, grazie alla globalizzazione. I video che le documentano superano facilmente i confini. Queste gare sono popolari tra i giovani perché sembrano meno pericolose rispetto ad altre attività estreme.
Tuttavia, i rischi sono reali, anche se inizialmente l’obiettivo potrebbe essere semplicemente quello di divertirsi.

Mortali sottolinea che, sebbene le social challenge non costituiscano una dipendenza, sono comunque comportamenti pericolosi legati a un uso distorto dei cellulari e dei social media. Inoltre, chi è già a rischio di sviluppare dipendenze è più incline a partecipare a queste sfide. Le challenge social sono più diffuse tra gli 11-13enni, mentre sembrano diminuire leggermente tra i più grandi, nella fascia 14-17 anni. L’imitazione tra coetanei è un fattore significativo che può portare a comportamenti incontrollati.

Rischio dipendenza?

La ricerca condotta da Mortali ha rilevato che le social challenge aumentano il rischio di dipendenza da social media o videogiochi, così come il rischio di isolamento sociale. Questi problemi sono più diffusi nel Sud e nelle Isole italiane.
È importante notare che i ragazzi di queste fasce d’età non sono completamente consapevoli delle conseguenze dei loro comportamenti. Il loro cervello non è ancora completamente sviluppato, e il lobo prefrontale, che controlla l’impulsività e la presa di decisioni, non è ancora pienamente formato fino a circa i 24 anni.

Il ruolo dei genitori 

Oltre ai rischi connessi alle sfide sociali, l’uso distorto del cibo può contribuire a disturbi alimentari. Pertanto, è importante che i genitori monitorino l’uso dei dispositivi mobili da parte dei loro figli e prestino attenzione al tempo trascorso online.
Inoltre, è fondamentale mantenere una comunicazione aperta e un rapporto con i giovani, in modo da rilevare segnali di pericolo e insegnare loro un uso responsabile e sicuro della tecnologia. 

Black Friday e Cyber Monday: prevista crescita del 45% sull’online

Le previsioni per i prossimi Black Friday e Cyber Monday non sono certe nere, ma più che rosse.. Le stime parlano infatti di una crescita del 45% nelle vendite online, secondo le analisi elaborate da Calicantus.
Questa prospettiva segue il già notevole incremento del 44% nelle vendite online registrato nel 2022.

Mercato già in fermento

Il mercato è in fermento in vista dei prossimi Black Friday e Cyber Monday, dopo il successo ottenuto nei due anni precedenti. A partire dal 24 novembre, questi eventi rappresentano momenti cruciali nel calendario commerciale e nelle vendite online, soprattutto alla luce del fatto che il 58% dei consumatori ha dichiarato di preferire il canale digitale per fare scorta di offerte.

Un record

Calicantus, specializzato nella gestione dell’e-commerce in modalità full outsourcing, ha confermato le tendenze di crescita. Nel 2022, è stato registrato un notevole aumento delle vendite online (+44% rispetto all’anno precedente), e per il 2023 si prevede un ulteriore incremento del 45%.
Questa stima si basa sulla crescita media del 50% rilevata nei primi sette mesi del 2023 rispetto alla prima metà del 2022.

L’impulso delle vendite online

L’analisi segnala inoltre un incremento del 60% nelle vendite online a partire dal 15 novembre 2022 rispetto alle settimane precedenti, superando il +56% registrato nello stesso periodo del 2021.
I dati suggeriscono una crescita esponenziale delle vendite online nel 2023, grazie anche alla migliore dell’efficienza nei servizi di spedizione e alla facilità d’uso dei siti web.

Chi è il consumatore oggi

Il consumatore odierno, sempre più tecnologicamente preparato, si dimostra attento al risparmio, influenzato dalle preoccupazioni economiche dovute a eventi globali come la situazione geopolitica, l’inflazione e la guerra in Ucraina. Questi fattori fanno sì che l’80% degli italiani sia preoccupato. Tuttavia, l’83% dei consumatori vede la Black Week come un’opportunità per pianificare i regali di Natale.

Aumenta la fiducia verso gli e-commerce

Valentino Bergamo, CEO di Calicantus, sottolinea la crescente fiducia dei consumatori italiani nei confronti dei canali di vendita online, attribuendo questo cambiamento a fattori come recensioni, resi gratuiti, maggiore sicurezza nei pagamenti e servizi di spedizione efficienti.
Il Black Friday rappresenta uno dei periodi promozionali più importanti, influenzando significativamente i comportamenti di consumatori e rivenditori. Pertanto, è essenziale che le aziende siano preparate per gestire l’aumento delle richieste dei clienti in questo periodo.

Sostenibilità? Sì, grazie 

Secondo le statistiche del Boston Consulting Group, il settore che attirerà maggiormente l’attenzione degli italiani sarà il fashion e-commerce (60%), seguito dagli acquisti di dispositivi elettronici (54%) e dai prodotti di bellezza e profumi (23%).
La sostenibilità svolgerà un ruolo chiave nelle decisioni di acquisto, con il 67% degli acquirenti che preferirà prodotti a lunga durata, il 59% che supporterà le aziende locali e il 54% che acquisterà prodotti ecologici o realizzati con materiali riciclati.

L’identità digitale avanza, ma il Paese è poco competente

Nonostante gli sforzi per rendere i servizi pubblici accessibili online l’inefficienza nell’utilizzo delle tecnologie ha reso vani gli investimenti realizzati. All’interno di un Paese sempre più vecchio, dove oltre il 50% dei cittadini non possiede competenze digitali di base, la digitalizzazione della PA incontra numerose difficoltà.

La conferma arriva dai risultati di una ricerca condotta da Ipsos sull’uso dell’identità digitale per l’accesso ai servizi della PA nelle diverse generazioni.
Due le sfide principali emerse, il divario tra la disponibilità dei servizi online attivabili con l’identità digitale e l’effettivo utilizzo di tali servizi, e un’esperienza di accesso che può essere migliorata.

Migliorare l’esperienza di utilizzo

L’Italia si sta impegnando per migliorare l’infrastruttura tecnologica digitale, rendendola più semplice, sicura e soddisfacente per tutti. Tuttavia, non va trascurato anche lo sviluppo dell’alfabetizzazione digitale.

Scarsa competenza digitale e limitata soddisfazione dei servizi possono creare disparità, soprattutto per le fasce di popolazione più adulte in termini di accesso al welfare e altri servizi pubblici. La tecnologia e il fattore umano devono, quindi, progredire di pari passo. Solo così potremo accorciare le distanze e garantire un accesso equo ed efficace ai servizi pubblici.
Non a caso il PNRR prevede di destinare parte dei fondi della Missione 1 all’abilitazione della popolazione all’uso delle tecnologie.

Identità digitale: per quali servizi online della PA si usa di più?

Nell’ultimo anno, l’identità digitale è stata utilizzata in media in tre ambiti di servizi online della PA, sfruttando solo parzialmente le molteplici possibilità offerte. In cima alla classifica quelli di Welfare, con il 72% degli utenti che vi fa ricorso (Boomers 77%).
Seguono i servizi della Fiscalità, usati dal 61% degli utenti e rilevanti per tutte le generazioni a eccezione della GenZ, e i servizi di Mobilità (47%), più usati proprio dalla GenZ (65%) e meno dai Boomers (38%).

Valutando l’esperienza complessiva, solo il 18% però si dichiara completamente soddisfatto, senza distinzioni tra le generazioni, e il livello di soddisfazione non varia neppure in base allo strumento digitale utilizzato.
Emergono difficoltà nel completare le operazioni online, e in un terzo dei casi (29%), è necessario recarsi di persona presso l’ufficio competente (Boomers, 34%).

SPID, lo strumento che garantisce il completamento online delle pratiche

Considerando gli strumenti digitali utilizzati, lo SPID garantisce maggiormente il completamento online delle pratiche (74%), mentre con la carta d’identità nazionale e la tessera sanitaria si è maggiormente costretti a ricorrere all’ufficio competente per evadere la richiesta.

In conclusione, l’utilizzo dell’identità digitale nei servizi online della PA è ancora limitato, soprattutto tra i Boomers, e la soddisfazione nell’utilizzo di tali servizi è contenuta.
È quindi necessario migliorare l’esperienza degli utenti, semplificando i processi di accesso e garantendo l’efficacia degli strumenti digitali utilizzati. Ma è soprattutto fondamentale promuovere un’alfabetizzazione digitale trasversale alle generazioni.

Quanto spendono gli italiani per i servizi di streaming? 

La rivoluzione digitale ha innescato una migrazione massiccia dal piccolo schermo tradizionale verso le piattaforme di streaming, che offrono una miriade di opzioni a portata di clic. Mentre in passato si pagava un canone per la televisione o si noleggiavano videocassette e DVD, oggi sono disponibili numerosi abbonamenti mensili a servizi come Netflix, Amazon Prime, Disney Plus, HBO e tanti altri.
Sommando i costi di ognuno di questi abbonamenti, ci si potrebbe chiedere quanto stiamo effettivamente pagando per questa nuova era di comodità digitale. Ma, soprattutto, ne vale davvero la pena?

Tuttavia, nonostante la televisione tradizionale stia affrontando una concorrenza senza precedenti, gli italiani mostrano una sorprendente prudenza economica. Dalle statistiche emerge una cifra emblematica: 30 euro al mese sembra il budget che la maggior parte è disposta a destinare per il consumo di contenuti digitali.

Contenuti di alta qualità, prezzo accessibile e pubblicità accettabile?

Questo dato sottolinea non solo una consapevolezza economica, ma pone anche una domanda cruciale alle piattaforme di streaming: come offrire un servizio che bilanci contenuti di alta qualità, un prezzo accessibile e una pubblicità accettabile? A quanto pare, gli italiani, pur riconoscendo il valore dei contenuti premium, non sono avversi all’idea di pubblicità, anche se la pubblicità deve essere ben dosata.
Il 59% degli intervistati sarebbe infatti disposto a tollerare spot pubblicitari pur di accedere a una piattaforma gratuita, ma ad alcune condizioni: pubblicità mirate e limitate interruzioni durante la visione. Quando sono inevitabili, che almeno lo spot sia breve.

Una media di 3 abbonamenti per persona

L’epoca in cui un unico abbonamento soddisfaceva tutte le esigenze di intrattenimento sembra essere un lontano ricordo. Ora, con giganti del settore che offrono cataloghi vastissimi e diversificati, la tentazione di diversificare gli abbonamenti è forte.

Questa tendenza, però, non è uniforme tra le diverse fasce d’età. Se da un lato un significativo 42% della popolazione mantiene un approccio più conservativo, limitandosi a 2-3 servizi, dall’altro la fascia più giovane (25-34 anni) mostra un comportamento decisamente diverso.
Quest’ultimo gruppo, infatti, sembra avere una sete insaziabile di contenuti, tanto da sottoscrivere a quattro o più servizi contemporaneamente.

Esiste la formula di streaming vincente?

L’integrazione di servizi bancari, come cashback e assicurazioni, suggerisce che gli italiani cercano soluzioni più olistiche. Le piattaforme dovranno quindi evolversi e offrire pacchetti di servizi integrati.
Una cosa che non sembra nemmeno troppo distante, visto il lavoro massiccio che stanno facendo le piattaforme in mercati più maturi, come per esempio quello Americano o quello Australiano.

L’evoluzione del consumo di media digitali mette poi in evidenza una marcata differenza tra le diverse fasce d’età. Questo divario generazionale nello streaming rispecchia le diverse esperienze e abitudini formatesi nel contesto tecnologico in cui ciascun gruppo è cresciuto.
C’è quindi la necessità di offrire contenuti e servizi che possano attrarre e soddisfare utenti di tutte le età, bilanciando innovazione e tradizione.

Donne e finanza: le differenze di genere nel rapporto con i soldi

Se gli uomini tendono a farsi carico delle scelte finanziarie di tutto il nucleo familiare tra le donne prevalgono le decisioni condivise. Quanto al conto corrente, le donne prediligono l’hub fisico, guardando molto alla prossimità della filiale, mentre per le coperture assicurative le donne più degli uomini ne possiedono di cointestate, soprattutto quelle non obbligatorie. Inoltre, a fronte della disponibilità di 10.000 euro meno della metà delle donne ne investirebbe almeno una parte, contro il 58% degli uomini. E una donna su quattro non saprebbe che cosa fare.  Emerge dalla ricerca dal titolo L’approccio degli italiani alla finanza: educazione e alfabetizzazione tra donne e uomini, condotta da Ipsos in collaborazione con UniCredit.

Un’avversione generale al rischio

Uomini e donne sono accomunati però da una gestione parsimoniosa e cauta del denaro, ma i primi mostrano più evidenti segnali di curiosità e apertura verso le novità in ambito economico finanziario, e maggiore interesse verso temi inerenti gestione del denaro, risparmio e investimenti. La rischiosità dell’investimento è comunque il primo driver di scelta trasversale a tutti i target considerati dalla ricerca. Ma se la solidità del proponente è il secondo driver per importanza tra le donne, tra gli uomini, o i più giovani propensi a investire, al secondo posto ci sono le attività con un impatto positivo su ambiente e società.

Meglio delegare a chi ne sa di più?

Tra le donne emerge forte il tema della delega, soprattutto tra le più mature, mentre quelle più giovani dichiarano anche una certa mancanza di interesse. Il 40% delle intervistate ritiene poi appagante la situazione economica personale, dato inferiore a quello degli uomini (55%). In generale, il campione concorda sulla crucialità della formazione in ambito economico finanziario, anche nelle scuole. Le donne, però, si dicono consapevoli di non avere tutti gli strumenti per valutare gli investimenti. Solo il 53% si sente all’altezza, contro il 65% degli uomini. In ogni caso, la banca resta il canale preferito da cui ricevere informazioni. 

Il vocabolario dell’investimento

Tra le parole con connotazione positiva, ‘risparmio’ è la più citata per entrambi i target, insieme a ‘investimento’. Tra gli uomini spiccano parole come ‘futuro’, ‘crescita’, ‘soldi’. Tra le donne, ‘acquisti’, ‘accumulo’, ‘soldi’ e ‘autonomia’. Per entrambi i target ‘preoccupazione’ è la parola più citata associata a ‘rischio’ e ‘difficoltà’, mentre tra le donne vengono più citate parole come ‘ansia’ e ‘sacrificio’, e tra gli uomini ‘crisi’ e ‘ansia’. Sulla base delle evidenze della ricerca emerge l’opportunità di avvicinare la finanza al mondo delle donne e le donne ai temi economico finanziari. Più degli uomini, infatti, le donne avvertono il bisogno di maggiore semplicità e chiarezza nella spiegazione dei benefici derivanti da scelte finanziarie consapevoli.

AI: i lavoratori la temono? Sì, ma con entusiasmo 

L’Intelligenza artificiale ha già avuto un forte impatto sulla vita professionale dei lavoratori di tutto il mondo. Ma quale è la percezione di questa tecnologia? Secondo un’indagine globale condotta da Linkedin il 60% degli intervistati è convinto che già nel corso del prossimo anno l’AI introdurrà nuove modalità di lavoro e altri cambiamenti significativi. Ma se 9 intervistati globali su 10 sono curiosi ed entusiasti di poter utilizzare l’AI al lavoro, 2 su 5 (39%) si sentono sopraffatti da questa trasformazione. Al contempo, per il 69% l’AI nei prossimi 5 anni l’AI diverrà un ‘aiutante invisibile’.
In Europa, gli italiani (60%) sono tra i più entusiasti, ma il 19% si sente in difficoltà a causa delle barriere linguistiche. Gli strumenti a disposizione sono infatti in larga parte più efficienti e fruibili se utilizzati in lingua inglese.

A sorpresa è la GenZ a temere maggiormente di rimanere indietro

Se il 73% degli uomini a livello globale vede nell’AI un alleato sul lavoro questa convinzione è condivisa dal 65% delle donne. A livello generazionale è la GenZ a temere maggiormente di rimanere indietro nell’apprendimento delle skill necessarie a utilizzare l’AI. Forse, proprio per via di una maggiore consapevolezza della vastità delle possibili applicazioni, dei suoi pro e contro.
È infatti preoccupato il 29% degli intervistati tra 16-26 anni, a fronte del 22% dei Millenials, il 16% dei GenX e il 15% dei boomers. Timore che trova riscontro anche nelle risposte italiane sul tema delle opportunità di formazione. Il 58% dei giovanissimi vorrebbe imparare a utilizzare al meglio l’AI sul lavoro, ma non sa come accedere a questo know-how (49% boomers).

Tra lacune formative e opportunità di progresso

Se in Italia il 57% dichiara di non aver ricevuto dal proprio datore di lavoro né linee guida né un training specifico volto a migliorare o ottimizzare il ricorso all’AI, al contempo, le aree in cui gli italiani vedono più opportunità di progresso grazie all’AI sono l’accesso più veloce al sapere e l’informazione (29%), l’aumento della produttività (28%), la velocizzazione dei lavori di sintesi (23%). Non mancano, tuttavia, i timori. In particolare, a preoccupare professioniste e professionisti italiani, è l’aspetto dell’adeguamento delle skills, e la mancanza di opportunità di formazione specifica in questo ambito.

Spetta alle imprese guidare il cambiamento

Di fatto se il 33% degli intervistati nel nostro Paese già ricorre all’AI per lo svolgimento delle proprie mansioni la stessa percentuale si sente sopraffatta dal cambiamento che potrebbe portare, e il 30% ha il timore di non riuscire a tenere il passo con l’innovazione. Inogni caso, se è difficile stimare quale sarà l’entità reale dell’impatto dell’AI sul lavoro quotidiano di professionisti e professioniste di tutto il mondo nei diversi settori, è chiaro invece che le imprese per poter crescere e attrarre nuovi talenti dovranno cercare di guidare questo cambiamento. Concentrandosi, in particolare, sull’offerta di nuove opportunità di formazione.

Si riduce la popolazione offline: nel 2023 sono disconnessi “solo” 2,6 miliardi

Nel mondo ci sono ancora 2,6 miliardi di persone non ancora connesse a Internet. Si tratta del 33% della popolazione mondiale, e circa il 96% di questi 2,6 miliardi vive in paesi in via di sviluppo. Nel 2022 i disconnessi erano 2,7 miliardi. È quanto rileva l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Uit), l’agenzia tecnologica delle Nazioni Unite, sottolineando che, al contrario, il 67% della popolazione mondiale è ‘online’, ovvero 5,4 miliardi di individui. 
Secondo le stime preliminari dell’Uilt, la crescita è più forte nei paesi a basso reddito, con il numero di utenti Internet in aumento di circa il 17% nell’ultimo anno, riferisce Adnkronos.

“Ci sono persone non sono in grado di accedere a Internet”

“Non dobbiamo dimenticare che dietro questi numeri ci sono persone che non sono in grado di accedere a Internet e godere dei vantaggi che questa tecnologia può offrire nell’era della trasformazione digitale, che può davvero cambiare il corso di una vita – sottolinea Cosmas Luckyson Zavazava, direttore del Telecommunication Development Bureau dell’Itu -. Questi numeri evidenziano l’importanza di misurare e monitorare i dati in modo da sapere dove concentrare i nostri sforzi per connettere in modo significativo tutti a Internet entro il 2030. Con questi sviluppi, dobbiamo anche concentrarci sulla costruzione di competenze digitali per tutti, in modo da fornire agli utenti le competenze necessarie”. 

Garantire che tutti traggano vantaggio dalle tecnologie digitali 

Le ultime stime globali confermano che la crescita a due cifre della connettività Internet osservata durante il picco della pandemia di Covid-19 nel 2020 è stata di breve durata. Le tendenze attuali non sono abbastanza forti da garantire che l’obiettivo di una connettività universale e significativa venga raggiunto entro il 2030. Raggiungere una connettività universale e significativa entro il 2030, ovvero, la possibilità per tutti di godere di un’esperienza online sicura, soddisfacente, arricchente e produttiva a un costo accessibile, richiede un approccio globale che affronti le infrastrutture e altri fattori come l’accessibilità economica e le competenze.

Un passo avanti a sostegno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu 

Internet è uno strumento essenziale per accedere alle informazioni, alle opportunità di lavoro e all’istruzione. Le persone senza un accesso significativo al web potrebbero essere lasciate indietro. E questo diventa ancora più importante man mano che tecnologie come l’Intelligenza artificiale diventano sempre più diffuse nella vita quotidiana.
“Questo miglioramento della connettività – aggiunge il segretario generale dell’Itu Doreen Bogdan Martin – è un altro passo nella giusta direzione e un ulteriore passo a sostegno degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Non avremo pace finché non vivremo in un mondo in cui la connettività sarà una realtà vissuta per tutti, ovunque”.